La storiella del pollo (Trilussa) insegna che se uno lo mangia tutto mentre l’altro se ne sta a digiuno, in media ne hanno mangiato metà a testa. Come a dire che per far piacere a tutti una politica decente, alla luce dei “numeri” record di chi non ha votato alle ultime elezioni quella attuale, si devono cambiare modelli e modo di fare in tutta una serie di settori (economici, sociali, sanitari, della giustizia, ecc.), mutando le rotte così da diffondere educazione e stili di vita appropriati per non “crescere” più soltanto quantitativamente ma soprattutto qualitativamente.
Più presto a dirsi che a farsi in un Paese come il nostro dove oramai la politica è più analizzata, discussa e confrontata nei talk-show che in Parlamento e dove vige l’originalità tutta italiana del reciproco gioco per “killerare” l’esecutivo di turno in cui poiché tutti si cacciano reciprocamente, tutti poi ritornano.
In altri Paesi occidentali al leader di partito che non ha fortuna difficilmente si concede un’altra chance, da noi invece succede l’opposto come quando a Letta mancò l’appoggio di Renzi, il cui insuccesso favorì Conte che fu cacciato da Salvini finchè non arrivò Mario Draghi che a sua volta finì sulla graticola di Conte, Salvini e Berlusconi.
Dopo la pandemia, dovuta ad un virus sconosciuto che si è diffuso dappertutto e la cui pericolosità ci ha cambiato la vita, è arrivata una guerra improvvisa ed inattesa che ci ha reso impotenti con conseguenze economiche inimmaginabili che ci hanno fatto diventare improvvisamente “piccoli e deboli” nell’attesa di qualcosa che verrà, di cui però all’oggi nemmeno immaginiamo l’esistenza.
Cosa questa che ci crea smarrimento collettivo in cerca di una via d’uscita che alla fin fine isola anzichè aggregare; di tutto ciò la politica ha le sue colpe a cominciare dalla legge elettorale che non premia la scelta di un candidato da parte dell’elettore così da promuovere quell’impulso del “tanto sono tutti uguali” che fa abbandonare ruoli e voglia di monitorare gli eletti, finendo in tal modo per anestetizzare il radicamento territoriale della politica del fare.
La campagna elettorale veloce che ha attraversato l’estate ha poi fatto il resto finendo per parlare del solito “altro”, dai tagli alle tasse ai redditi inclusivi e di cittadinanza (a caccia di voti certi) e soprattutto della diatriba politica a danno dello schieramento opposto, come prevedibile grandi assenti del dibattito pre-elettorale gli investimenti per i giovani, la transizione ecologica e digitale, la crisi climatica e le soluzioni per affrontarla, finanche sul totale disprezzo per la legalità e le buone regole della sicurezza.
Capitolo a parte quello della “cultura” sulla quale le forze politiche hanno prestato un’attenzione trasversale più a “marketizzarla” in ambito turistico, dello spettacolo e dell’industria cinematografica, allargandone gli orizzonti a promozione di aree interne del Paese e volti al restyling di alcune periferie, più per “acculturare” aree di degrado e marginalità sociale che per altro di più nobile.
Colpevolmente poche le righe “scritte” a favore dei 3 milioni di giovani (età 15/34 anni) “non occupati” né in percorso scolastico né in attività di formazione, a fronte di quelle decine di migliaia di posti di lavoro orfani di addetti ai quali si garantirebbero stipendi/salari e condizioni di lavoro buoni che, oltre a coniugare efficienza e spirito di collaborazione, diventerebbero un passo importante per una delle tante priorità che ai giovani piacerebbe promuovere, così da dare un ultimatum (anche in ottica elettorale) a chi governerà il Paese.
(Giuseppe Vassura)