Faccio mie le celebri parole di Levi per la semplice ragione che mi sembrano calzare a pennello al fresco di arresto Matteo Messina Denaro.
Non riesco a non pensare a quest’uomo se non in termini di povertà, quella vera, ben diversa da quella che individua il ricco in base alla quantità di denaro posseduta.

Matteo Messina Denaro (Foto Arma dei Carabinieri da Wikimedia)

Dopo aver trascorso una considerevole parte della propria vita seminando morte, dolore, ingiustizia, prepotenza e falsità tutto attorno alla propria persona si è trovato rinchiuso, costretto, tra quattro mura con la unica desolante compagnia di tre o quattro persone prezzolate, ricattabili o intimorite.
Nient’altro.
Nulla che anche solo lontanamente possa essere ricondotto ad un sentimento di affetto, di amicizia, di sincera intesa. O anche solo di rispettosa conoscenza, quella che si riserva generalmente ai vicini di casa: “Buon giorno, buona sera, come sta la sua signora, arrivederla”.
Nulla, Neppure queste ovvie facezie. E scusate se è poco.

A buon saldo, si narra che avesse capacità di spesa di oltre settemila euro al mese: ancora solo e unicamente denaro. Poi il viagra per aiutarsi in focosi amplessi con prostitute, donne conquistate con la sola e triste controparte di denaro.
Non so se si possa chiamare una forma di perversione, ma mi solletica il pensiero che questa (o queste …) prostituta, avendolo riconosciuto, giocasse al rialzo nella tariffa in cambio del silenzio.
Povero, ricercare per tutta vita potere, denaro, sottomissione, paura, ricatto e trovarsi a cercare l’amore in cambio di denaro.
Povero. Davvero povero, ma di quella povertà assoluta che non si quantifica in scarsità o mancanza di disponibilità di denaro ma in assenza di tutto ciò che da valore alla vita: l’affetto ricambiato, un sorriso di assenso, di apprezzamento, di gratitudine, una stretta di mano sincera.

Certo, nei suoi numerosi rifugi (come chiamarli diversamente?) abbondavano abiti costosi, camicie firmate e scarpe che si possono acquistare con tanto denaro quanto ne guadagna un operaio in un intero mese di lavoro. Lì mancavano solo l’amore, l’affetto, l’amicizia. Poi, il povero, mostrava al polso un orologio del valore di trentacinquemila euro, un oggetto di gran marca, riconoscibile a colpo d’occhio e additato quale certo segnale di distinzione tra i poveri, quelli veri. Si narra che segnasse la stessa ora di tanti altri orologi …

E per finire, ma non da ultimo, tutto attorno a lui un mare di silenzi prezzolati o timorosi, una marea di falso rispetto e omertosi assenzi, quelli di quella gente di Sicilia (e non solo!) che vede in queste scialbe figure un barlume di luce tra le nebbie e le false oscurità di una società da troppo tempo schiava di falsità, di vistose ricchezze mal guadagnate, di colpevoli silenzi e di timorosi assensi.

Statene certi: verranno altri Matteo, altri Messina e altri Denaro, tutti insieme o separatamente, fino a quando troppa gente, tutto attorno a noi, continui ad individuare nell’orologio di gran marca (il cui unico valore risiede nel prezzo) un certo segno distintivo di qualità.

Già, … se questo è un uomo.

(Mauro Magnani)