Gilda Altomare

Un giorno di fine settembre, mentre tutti i Venturi erano a tavola, Teresa disse che aveva bisogno di parlare con gli adulti della famiglia di un problema delicato.
I ragazzi furono invitati ad andare a giocare a palla nell’aia e le ragazze a ritirarsi nella camera di Clara.
Teresa riferì ai familiari che una sua amica che abitava in paese le aveva chiesto se avessero potuto ospitare una ragazza di vent’anni di Belricetto che era rimasta sola, in quanto la nonna con cui aveva vissuto fino ad allora era morta pochi giorni prima.

La ragazza, di nome Sara Bartolini, non aveva altri parenti poiché i suoi genitori erano emigrati in America quando Mussolini aveva varato le leggi razziali e deciso una serie di divieti per gli Ebrei.
La mamma di Sara era ebrea perciò suo marito aveva deciso di lasciare l’Italia prima che fosse troppo tardi, ma lei, che allora aveva poco più di quindici anni, era rimasta con la nonna paterna.
Erano partiti il 28 dicembre 1938 con i figli Ivo e Primo, mentre Sara non se l’era sentito di lasciare la nonna di ottantaquattro anni da sola in Italia e aveva convinto i genitori a lasciarla in Romagna.

“Un’altra bocca da sfamare!” protestò subito Ilario.
“Chi ci dice che non ci mettiamo nei guai ospitando un’ebrea?” Lorenzo lo zittì subito, rimproverandolo per il suo egoismo e sottolineando che era ebrea la mamma di Sara, non lei.

Nonna Livia disse che la ragazza avrebbe dormito con lei e avrebbe potuto aiutare in casa e in campagna.
Tutti gli altri membri della famiglia furono d’accordo nell’ospitarla e Teresina aggiunse: “Se non ci aiutiamo tra di noi, cosa succederebbe? Un domani anche noi potremmo aver bisogno dell’aiuto di qualcuno e se non ci fosse nessuno disposto a darci una mano, resteremmo molto male”.

Ilario, scuro in volto senza salutare nessuno, neppure il figlioletto e la moglie, montò sulla bici e nervosamente incominciò a pedalare verso il paese.
Due giorni dopo, alle dieci del mattino, arrivò Sara, accompagnata dal parroco di Belricetto, don Carmine; il sacerdote presentò la ragazza ai Venturi, lodandola per la sua bontà e generosità.
Affermò che era una grande lavoratrice e che presto anche loro si sarebbero accorti delle sue doti.

Sara era una biondina con la pelle chiarissima, alta e magra; portava i capelli lunghi raccolti in una treccia; quello che colpiva di lei era il colore degli occhi: un grigio così chiaro che sembravano ghiaccio in un viso dolcissimo dai lineamenti delicati.

Si fermò sulla soglia di casa reggendo una valigia di cartone con una mano, mentre nell’altra aveva una sporta.
Don Carmine ripeté più volte: “Entra, Sara, entra!”.
La ragazza rivolse un timido buongiorno a voce così bassa che in pochi lo sentirono.
Nonna Livia le si avvicinò, invitandola a bere un bicchiere di latte caldo e a sedersi a tavola senza timore, poteva considerarsi la benvenuta in casa Venturi.
Clara e Stefania subito le si avvicinarono e si presentarono, con la loro vivacità e schiettezza riuscirono a strappare un sorriso alla ragazza che pronunciò un “grazie” con un tono di voce più alto tanto che lo udirono tutti.

Don Carmine disse a Sara di stare tranquilla perché era capitata in una famiglia brava e onesta; poi andò via, dopo aver ringraziato e salutato.
Soltanto Giannina ignorò la presenza della nuova arrivata, seguì le presentazioni con aria annoiata, quando poi Clara e Stefania la portarono a vedere il podere, la stalla e la casa, aprì la bocca per dire una delle sue solite cattiverie: “Proprio un’Ebrea ci dobbiamo mettere in casa? Siamo già tanti, ma è proprio necessario ospitare questo pesce lesso che oltre tutto può portarci dei guai?”.

Il padre, Guido, che era poco distante da lei, le si avvicinò e le mollò un sonoro ceffone “Non conosci la carità cristiana! Vergognati! Sara è italiana, capito? Tu che non muovi un dito per aiutare nei lavori in cucina o nei campi, hai il coraggio di brontolare. Te ne stai tutto il giorno davanti allo specchio a rimirarti e a sognare cose impossibili. Ti credi bella, ma sei brutta dentro e quindi anche fuori. Non ti permettere mai più di parlare così di Sara e se vedrò che ti comporti male con lei, farai i conti con me. Esci, raggiungi le tue cugine, sparisci dalla mia vista!”.

Nessuno dei suoi figli si era mostrato così maleducato e insensibile. E’ vero che in ogni famiglia c’è una pecora nera; stava facendo queste considerazioni quando si accorse che il fratello Lorenzo era dietro di lui: “Ti sbagli, Guido! Sono due le pecore nere! Non hai sentito Ilario? Più o meno ha detto le stesse cose di Giannina ed io e ne sono dispiaciuto, anzi mi sono vergognato”.

( Gilda Altomare – Tratto dal suo romanzo “Un giorno di fine settembre”)