“Non si può e non si deve fare un lavoro se non si ha il serbatoio pieno, più un po’ di riserva per i compiti imprevisti che inevitabilmente si presentano. Riflettendoci quest’estate, so di non avere più quel surplus di energia per fare bene il mio lavoro.”
È questa la grandissima lezione di normalità di Jacinda Ardern, figlia di un poliziotto e di una addetta alle mense scolastiche, che ha annunciato le sue dimissioni da Primo ministro della Nuova Zelanda, a partire dal 7 febbraio.
Perché sapersi fermare quando sentiamo che ci stanno sfuggendo la direzione e il senso della vita, non è un fallimento, ma una dimostrazione di responsabilità verso noi stessi e verso coloro coi quali conviviamo.
Quando è stata votata come Primo ministro nel 2017, ha basato il suo discorso di insediamento sullo slogan “Siate forti, siate gentili”, affermando la sua idea di leadership.
Cogliendo una delle traiettorie di cambiamento attuali, che vede le relazioni di lavoro sempre più improntate verso l’empatia, la gentilezza, la generosità, la solidarietà, la disponibilità ad ascoltare e ad apprendere dagli altri.
Ma nella frase della Ardern c’è di più: “Be strong be kind”. Kind non è solo gentilezza, in inglese è anche la parola che esprime la cura, la premura verso gli altri, una specie di quel “I care” che don Lorenzo Milani avevo posto come slogan della scuola di Barbiana.
La leadership gentile è allora proprio quella che nella complessità può marcare la differenza e segnare la direzione del cambiamento. Una leadership che sa “ascoltare” e “sentire” le persone, due dimensioni molto importanti che si rilevano leve strategiche per una leadership efficace.
La gentilezza è la capacità di capovolgere l’impostazione “do ut des” (lo scambio di favori) dando priorità alla relazione. Significa avere la capacità di permettere agli altri di sviluppare il proprio talento, offrendogli gli strumenti per svilupparlo senza imporre il proprio. Un compito difficilissimo che solo la leadership davvero assertiva sa fare.
Ma significa soprattutto avere la capacità di avere cura di sé, di orientare verso di sé la stessa attenzione e la stessa cura che mettiamo nel confronto con gli altri. Essere gentili significa infatti abbracciare la propria vulnerabilità e farne strumento per sviluppare forza.
E questo è l’insegnamento che ci viene dalla sua normalità: l’accettare che un incarico si svolge quando si è in grado di dare il meglio di sé. Accanto a noi ci sono tante persone piene di passione e voglia di fare: passare loro il testimone è un segno di grande profondità di animo.
Significa puntare lo sguardo non sui propri piedi ma ben oltre, verso l’orizzonte di sé e della propria comunità.
(Tiziano Conti)