Grazie al legame intimo con la terra e i saperi agrotecnici secolari, uniti alla capacità di avvertire fin da subito i cambiamenti del clima e gli effetti sulle coltivazioni e sulla salute, gli agricoltori sono da sempre stati pionieri di buone pratiche attualizzandone le virtù nei decenni.
Ad esempio destagionalizzando la produzione di ortaggi estivi, sensibili alle basse temperature, facendo sì che gli stessi possano giungere sugli scaffali della grande distribuzione organizzata (Gdo) nei mesi invernali, al pari di riuscire nell’impresa titanica di produrre ortofrutta e vino anche in totale assenza di pesticidi.

Giovani in agricoltura (Foto Regione Emilia Romagna)

Qualcosa perciò è cambiato in meglio, sebbene si sappia che ogni “rimozione” genera un’idealizzazione che a volte distorce verità e genera controsensi, ad esempio quelli per i quali vogliamo sì mangiare tanto (e meglio) ma solo dall’orto del contadino, al pari che piace sì la mucca che pascola felicemente ma dal cui latte poi pretendiamo yogurt fresco ai frutti di bosco ogni mattina
Una visione bucolica questa di derrate agricole, zootecniche e ortofrutticole che ci assicuri cibo salutare e a chilometro zero pur sapendo che un “conto” del genere all’oggi non può tornare, perché siamo in troppi a pretendere di consumare ogni giorno in tal modo.

D’altronde i rigorosi protocolli del chilometro zero obbligano i cittadini a rifornirsi solo dai piccoli produttori, ma quanti di noi all’oggi vanno in campagna a far spesa sobbarcandosi l’onere di far chilometri al posto del camionista della Gdo?

L’alternativa nei quartieri di città abitati da centinaia di migliaia di (potenziali) consumatori non è fattibile, perchè quanti orticelli servirebbero per soddisfare la loro domanda? Da ciò si evince che per ora soltanto pochi encomiabili consumatori se ne andranno nei piccoli mercati, che per definizione diventano mercatoni o supermercati quando la domanda cresce.

A dispetto di una retorica mediatica soprattutto televisiva che si ostina a descrivere l’Agricoltura italiana come una valle fiabesca fatta di pianure e colli, orti e mulini bianchi c’è da ricordare ai non “addetti ai lavori” che l’azienda agricola e/o cooperativa, intesa come entità economica, è da tempo tecnicamente fallita sia per colpa del taglio graduale dei fondi da parte della Comunità Europea, sia perché stritolata del fenomeno ben più complesso della globalizzazione che ha finito per penalizzare la competitività delle nostre derrate esaltando quella di tanti (troppi) Paesi che hanno costi di “filiera” ben più bassi dei nostri, non ultimi quelli inerenti le condizioni di sicurezza alimentare e sul lavoro.

Settore primario perciò in un’agonia senza inversione di tendenza, perdippiù aggravata dalle pericolose siccità dell’ultimo quinquennio che hanno lasciato all’asciutto soprattutto i seminativi e fatto diminuire corposamente (quasi) tutte le produzioni ortofrutticole e vitivinicole, così da far precipitare il Pil aziendale.

Nubi minacciose anche sulla zootecnia, soprattutto per via del “nulla osta” made in Usa al libero consumo umano di carne in provetta, cibo che (per ora) per bocca del nostro ministero non arriverà sulle tavole italiane, ma tant’è che l’argomento ha (ri) sollevato l’annoso problema dell’impatto ambientale altissimo che ha la filiera dell’allevamento di carne animale, al pari che da sola non sarà la carne artificiale ad interrompere né il Global Warming né il nostro futuro sul pianeta.

Altro discorso quello sull’alcol nel vino che è balzato prepotentemente sotto i riflettori dei media da quando l’Irlanda ha intrapreso una crociata sui rischi che l’alcol provoca alla salute, di fatto ottenendo plauso da parte della Commissione europea, equiparando problematiche delle sigarette al vino.
Tempesta multimediale questa che è nata da uno studio pubblicato su Nature Communications da parte del Dipartimento di Psichiatria dell’Università della Pennsylvania, che ha scoperto che il consumo di alcol danneggia il cervello.

Alla luce dei fatti (come sempre) si spera perciò che la verità stia a metà del guado, alla stregua di “In vino Veritas”, il proverbio latino che suggerisce come lo stato di ebbrezza di una persona favorisca a carpirne verità. Nel mondo vitivinicolo invece la preoccupazione sta montando in fretta malgrado il rassicurante “disciplinare” della Dieta Mediterranea (Patrimonio Unesco dal 2010), che indica due bicchieri di vino al giorno per l’uomo ed uno per la donna, anche se in buona sostanza sono centinaia di migliaia le ricerche fatte sul dibattito fra alcol e salute, e mai finora è stato possibile garantire e definirne la quantità per bere “in sicurezza”.

(Giuseppe Vassura)