Andrea Pagani

La rubrica letteraria “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, dedica il mese di febbraio ad un genere ben poco conosciuto in Italia: il “gotico sudista” (Southern Gothic), una corrente statunitense, diramazione del gotico tradizionale, che per l’appunto svolge le sue storie negli Stati Uniti meridionali e i cui protagonisti vivono in ambienti abbandonati e degradati.

Ci sono diversi modi di raccontare un mistero.
C’è il modo più tradizionale, alla Agatha Christie, dove la detection si costruisce su una ferrea logica scientifica e dove lo scioglimento finale avviene da parte di Hercule Poirot in un matematico abile gioco di scacchi. C’è il modo alla Simenon, dove riesce più seducente e significativa l’atmosfera del carattere, dell’ambiente, del contesto del protagonista, Maigret, piuttosto che un reale svelamento investigativo. C’è poi l’hard boiled che trova le sue radici in America nei romanzi di Dashiell Hammett verso la fine degli anni venti e che viene perfezionato da Raymond Chandler nei tardi anni trenta, e che si distingue dal giallo deduttivo per una rappresentazione realistica, cruda e aspra del crimine, della violenza e del sesso.

E poi c’è William Faulkner.

C’è la sua maniera unica, inconfondibile, inimitabile di raccontare un mistero, dove s’intrecciano in modo originalissimo perfetta costruzione strutturale, sperimentazione linguistica e affresco d’una società disagiata.

Un libro magnifico, appena ripubblicato in Italia da Adelphi (che sta proponendo tutta l’opera dello scrittore insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1949) è Non si fruga nella polvere, nella traduzione di Roberto Serrai, dove senza dubbio Faulkner si fregia del titolo d’essere l’unico esponente statunitense della corrente modernista, fondata in Europa da James Joyce, Virginia Woolf e Marcel Proust.

Con una maestria ed un talento fuori dal comune, in questo romanzo del 1948, quasi mutuando un suggerimento di Dostoevskij, che sosteneva che ogni storia dovesse prevedere un’intelaiatura investigativa e che amava trasfigurare ai suoi fini la struttura del poliziesco, allo stesso modo Faulkner mette in scena un’indagine inquietante e torbida, venata di tinte razziste, nascosta tra le quinte del profondo Sud americano.

Nella mitica contea di Yoknapatawpha – dove Faulkner ambienta molti dei suoi romanzi e racconti più celebri –, il vecchio nero Lucas Beauchamp è accusato di aver ucciso un bianco, e rischia il linciaggio. Il solo disposto ad aiutarlo è un ragazzo bianco, Chick, che non esita – accompagnato dall’amico nero Aleck Sander e da una vecchia zitella a dir poco bizzarra – a riesumare il corpo della vittima come Lucas gli ha chiesto. Li attende una scoperta sconvolgente, che cela una raccapricciante verità.

Eppure, ciò che irretisce il lettore, non è solo l’intreccio della detection (di cui Faulkner si dimostra comunque sorvegliato padrone), ma è l’atmosfera gotica che viene rappresentata, l’ambiente degradato e tetro in cui si svolge la vicenda, e allo stesso tempo la tecnica stilistica, ossia il mirabolante «flusso di coscienza» di Chick, intramezzato da superbe descrizioni di una natura bella e crudele, da brani risentiti sulla Guerra Civile, e da brevi, convulse scene d’azione.

Uno stile folgorante, che ci immerge nel sud di un’America abietta, quasi metafisica e straniante, e nondimeno nel movimento convulso e vertiginoso della mente dei personaggi.

In tal senso, i laceranti e profondi contrasti della provincia di Yoknapatawpha si ergono a simbolo universale degli aspetti più drammatici del mondo moderno: la realtà della vita nelle regioni meridionali degli USA, deformata in toni crudeli e macabri, diventa l’emblema di un’umanità alla deriva, profondamente turbata.

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(Andrea Pagani)