Ripubblichiamo la seconda puntata di un racconto scritto molti anni fa di Roberta Giacometti che descrive lo storico bar Giardini negli anni Sessanta e Settanta a Imola. Uno spaccato di vita imolese che merita di essere conosciuto.

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Loris e Valter continuano a raccontare a ruota libera storie e personaggi legati al Bar Giardini di Imola. Avanti e indietro fra i loro ricordi, sembrano fare opera di manutenzione alla loro memoria tanto sono appassionati a ricordare e raccontare. Ve li potete immaginare attorno al tavolo che parlano agitandosi: “e Tizio e l’altro, ti ricordi… e quella volta, Ermes, dai c’eri anche tu…”. Ermes scuote la testa e ride, contento che i suoi amici stiano quasi lavorando, scavando un deposito di memoria di riferimento, e ricordando anche per lui. Perché lui ammette che tutti quei particolari che i suoi amici rammentano, lui proprio li aveva dimenticati.

Si rivolgono a me che ascolto divertita e scrivo alla velocità della luce: «Un’altra nostra grande passione era organizzare spettacoli. Un anno mettemmo insieme una parodia di “C’era una volta il West” e la rappresentammo nel locale Igea Bar, a Igea Marina, che gestiva uno di noi. Avemmo successo e la ripetemmo una sera all’hotel Olimpia, durante una festa dei bar di Imola. Avevamo un nastro con le voci e le musiche registrate e noi attori dovevamo recitare in playback. Riuscì così bene che ne facemmo alcune repliche, al Piro Piro, al Punta a Capo di Medicina, al Kiwi di Piumazzo. Come premio c’era una cena per tutti. Questa fu una di quelle iniziative in cui parteciparono anche le nostre morose e ci divertimmo fino alle lacrime. A nostro modo eravamo quasi dei professionisti.

Ci piaceva organizzare serate danzanti, era il nostro divertimento ma anche un modo di stare insieme e tirar su un po’ di soldi. Ci sentivamo impresari. In una serata al Piro Piro invitammo Ivan Graziani, aveva con sé solo una chitarra, dormì ospite da Romano, uno di noi: si trovò bene, rimase a Imola qualche mese e anche lui frequentava il bar. Allora non era ancora famoso.

Organizzavamo le feste delle scuole, noi che eravamo ormai tutti lavoratori. Nel 1972 portammo i Pooh al Piccadilly di vicolo Stagni: suonarono mattina e sera. Avevamo messo un prezzo basso, 300 lire, ma entrarono pagando solo i primi 8, così quella giornata dal punto di vista economico fu un fallimento, ma tutti si divertirono. La sera ripetemmo il concerto al dancing delle Acque: facemmo il pienone. A quei tempi al dancing si affittavano i tavolini, oltre che pagare l’entrata, e, per tirar su più soldi, quando una coppia andava in pista a ballare c’era chi rivendeva il tavolo!

Ogni anno organizzavamo un paio di feste, era una cosa che ci piaceva. Ad una di queste ingaggiammo Gino Paoli, solo che prendemmo in una serata di nebbia tremenda e non venne quasi nessuno, inoltre la Siae si piazzò davanti all’entrata e ci rimettemmo tutto l’incasso. Allora andammo a parlare con i Gatti Rossi, il gruppo di Paoli, che erano a mangiare alla Tavernetta. Ci accordammo: gli demmo 150 mila lire di acconto, con la promessa di mandare il resto in seguito, ma così non abbiamo mai fatto. Gaetano Vece, l’imolese che aveva intrapreso la carriera da cantante e frequentava il bar, fece l’arrangiamento del suo primo disco proprio con i Gatti Rossi. Quando disse che era di Imola loro non avevano dimenticato: “stiamo ancora aspettando le 250 mila lire da Imola, da quelli del bar Giardini: li conosci per caso?” Ci conosceva sì, era uno di noi, ma fece finta di non sapere. Ad un’altra festa invitammo Domenico Modugno, ad un’altra ancora Andrea Mingardi, alla Bussola di Castrocaro ingaggiammo gli Jaspers, un gruppo inglese. Tutto questo durò per circa cinque anni e il bar Giardini era l’ufficio dell’organizzazione; si usava il numero di telefono del bar per qualsiasi motivo: lavoro, donne; il telefono suonava spesso e c’era sempre un certo andirivieni sulle scale, visto che l’apparecchio era appeso al muro che portava alle sale di sotto dove c’erano i biliardi.

Dal bar partivano le grandi spedizioni: più le idee erano stravaganti meglio erano accettate da tutti e condivise. Una domenica organizzammo una gita al Corno alle Scale: tutti a sciare. Solo che Ermes si ruppe un ginocchio. Due di noi erano infermieri, gli misero la stecca e lo riportarono a casa in 500 e Ermes per riuscire a mettere la gamba dentro al piccolo abitacolo dovette piegare un po’ il ginocchio: da allora non ha avuto più la gamba a posto. Una altra volta organizzammo a Palazzuolo una battaglia a cavallo fra indiani a cowboys e per l’occasione comprammo i gilè di pelle con le frange e i cappelli da cowboy. Fu una giornata divertente perché pochi di noi sapevano andare a cavallo, ma questo non ci fermava!

Eravamo dei birbanti. Lasciavamo le macchine parcheggiate di fianco al bar in sosta vietata. Collezionavamo multe, ma allora erano di 1000 lire, una cifra bassa, e per noi che lavoravamo era una sciocchezza. Poi le multe per divieto passarono di botto a 5000 lire e dovemmo per forza smettere di fare i “patacca”. Alcuni di noi lavoravano, altri studiavano e si sono laureati: Manara, Suzzi, Servadei, Maxi, erano un bel gruppo di universitari. Eravamo comunque tutti ragazzi alla moda, ci consideravamo dei “fighetti”.

Il bello del bar, di quel bar, è che era sempre aperto, come se non riuscisse a chiudere, ad abbassare la saracinesca, perché arrivava sempre qualcuno…».

Parlando di altri personaggi da non dimenticare viene fuori il nome di Teggia: «Teggia frequentava il bar. Era un tipo ambiguo, non si sapeva bene cosa facesse. Era alto, magro, suonava il basso: il suo gruppo lo chiamavamo “Teggia e i suoi tiggini”. Suonavano spesso dai Socialisti, davanti al cinema Cristallo. Una sera in quel locale Teggia ruppe il suo basso: l’ appoggiò all’amplificatore per distorcere il suono. Ci pensò un po’ su e poi lo infilò direttamente dentro! Finì per sbaraccare tutto e così finì la sua carriera di bassista. Era conosciuto da tutti per le sue stravaganze. Aveva il Duetto, un’Alfa Romeo, e quando lo guidava gli piaceva vestirsi da principe. Una sera gli facemmo notare che aveva un paraurti ammaccato da una parte allora lui risalì in macchina, diede una botta all’angolo della strada dall’altra parte del paraurti: “adesso è meglio”, disse.

Non pagava mai quello che consumava e Ivonne segnava nel suo conto. Un giorno si stancò e gli disse: “Teggia da oggi non segno più” e lui le rispose: “alóra tnil in tla mènt!”, tenetelo a mente; entrava e chiedeva quello che voleva cantando un motivetto.
Spesso girava per la città in Lambretta: una volta il vigile Borghi gli mise la paletta davanti e lui gliela rubò, un’altra volta lo fermarono in viale Dante, davanti alle scuole Alberghetti, lui rallentò e gridò: “io mi fermo da Renzo!”, un’altra volta ancora diede uno schiaffo a un vigile fermo a un incrocio. Sono tanti gli aneddoti che lo riguardano. Questo l’ho ben presente perché c’ero anch’io: uno di noi doveva avere da Teggia 50 mila lire, una bella cifra. Un giorno lo incontrammo in piazza e questo amico ci disse: “attenti, adesso gli faccio fare brutta figura” e gridò, perché tutti potessero sentire: “allora Teggia quelle 50 mila lire?” Lui alzò le braccia: “Sandro non ho fretta, quando le hai me le dai!”, era un fenomeno in questo, in un attimo aveva rivoltato la frittata, aveva sempre la battuta pronta. Pronta e piccante!»

La fitta chiacchierata è durata tutto il pomeriggio. Loris ci guarda e dice: «Quante cose mi vengono in mente, potremmo star qui per giorni e giorni! Ma sentite un po’: secondo voi, ci sono ancora posti con gente così giocosa, dove ci si diverta così tanto? Certo che non ci sono più i personaggi di una volta, come direbbe un nostro caro amico: adès l’è tóta plastica!» Oggi è tutta plastica! La risposta è una sonora risata.

Ermes e i suoi amici si sono divertiti, si salutano con l’idea di rivedersi presto, ma Ermes è in partenza per l’India, Enrico deve badare la nipotina, Loris scappa via, Valentino è super impegnato… si lasciano senza un appuntamento.

Io ho assorbito come una spugna nomi, aneddoti, sono ubriaca di fatti e spunti, ho fatto il pieno e posso affrontare senza esitazioni il foglio bianco.

(Roberta Giacometti)