La rubrica letteraria “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, dedica il mese di febbraio ad un genere ben poco conosciuto in Italia: il “gotico sudista” (Southern Gothic), una corrente statunitense, ispirata al gotico tradizionale, che per l’appunto svolge le sue storie negli Stati Uniti meridionali e i cui protagonisti vivono in ambienti abbandonati e degradati, spesso contaminati da pregiudizi razziali.
Quando, all’inizio degli anni ’30, nella piccola cittadina di Monroeville, in Alabama, due bambini di cinque e sette anni, che abitavano l’uno accanto all’altra, strinsero una profonda e duratura amicizia, di certo nessuno avrebbe immaginato che da quell’incontro sarebbe nato uno dei capisaldi della corrente statunitense “gotico sudista”, e più un generale uno dei capolavori della letteratura. I due bambini rispondevano ai nomi di Nelle Harper Lee, figlia dell’avvocato Amasa Coleman Lee e di Frances Finch, donna gravemente malata; e di Truman Capote, che dopo il divorzio dei genitori, abbandonato da entrambi, si era trasferito dalla Luisiana a Monroeville, a casa di lontani cugini, proprio di fianco a Nelle.
E il capolavoro che nacque da quel sodalizio umano e intellettuale è Il buio oltre la siepe, firmato da Nelle Harper Lee, un romanzo che dopo un anno dalla sua pubblicazione (1960) riscosse già un enorme successo internazionale e vinse il premio Pulitzer per la narrativa.
L’autrice, per la costruzione del plot narrativo, s’ispirò in larga misura ad un tragico fatto di cronaca, ossia al cosiddetto caso degli “Scottsboro Boys”, in cui un gruppo di adolescenti afroamericani nel 1931 in Alabama venne accusato ingiustamente di aver stuprato, su un treno merci, due ragazze bianche. L’ingiusta condanna rivestiva, evidentemente, pesanti componenti razziali e fu proprio Truman Capote, che per la sua stessa ispirazione letteraria si rifaceva ad eventi di cronaca nera e che si può considerare, in tal senso, uno dei fondatori del cosiddetto “gotico sudista” (Southern Gothic), sensibile alla realtà degradata di razzismo ed emarginazione, a spingere la Lee a scrivere il libro, sentendo di continuo la sua amica raccontare delle drammatiche condizioni di quegli ambenti abbandonati.
Così la giovane scrittrice si gettò a capofitto in quest’impresa letteraria, riverberando la cruda realtà storica in una storia di fantasia, dove un’efferata violenza macchia la cittadina dj Maycomb: il bracciante nero Tom Robinson viene ingiustamente accusato di violenza sessuale nei confronti di una ragazza bianca, Mayella Ewell, e Atticus, incaricato dal giudice Taylor di difenderlo, riesce a dimostrare l’assenza di prove a carico dell’imputato, e avvalora la sua innocenza argomentando in modo incontrovertibile che le percosse subite dalla giovane, e la stessa violenza, sono opera del crudele e ignorante padre Bob Ewell.
Eppure, la giuria condanna ugualmente Tom, che viene incarcerato.
Ma il lettore, a questo punto, non deve farsi trarre in inganno: immaginare cioè che il libro della Lee sia pura cronaca nera, a metà strada fra l’indagine giornalistica e il documento storico. La grande scrittrice americana riesce, nella seconda parte del libro, a connotare la narrazione di un respiro metaforico universale, oltre la minuta occasione mondana, e a stimolare snodi di riflessione che valgono per ogni epoca. In effetti, a partire dal titolo, la tensione del romanzo assume una carica evocativa lirica e letteraria, pur nel suo aspro realismo: “il buio oltre la siepe” è un’espressione metaforica, ripresa da un passaggio del libro, in cui Jem e Scout temono Boo Radley, il vicino di casa dei Finch, pur non avendolo mai visto e di cui hanno paura proprio perché non lo conoscono.
Oltre la siepe che separa la casa di Radley dalla strada c’è l’oscurità, appunto “il “buio oltre la siepe”: l’ignoto e l’ignoranza che genera il pregiudizio.
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(Andrea Pagani)