Con circa un terzo della popolazione nazionale e meno di un quarto del reddito nazionale il suditalia ha da sempre fatto scuola in termini di arretratezza, ci sono stati segni e luoghi di movimento che gli hanno cambiando faccia nei decenni trascorsi, ma sempre restando in una realtà indifferenziata e tutta stagnante in mano alla criminalità.
La nostra classe dirigente, come quelle di un qualsiasi Paese avanzato, avrebbe dovuto preoccuparsi ed interrogarsi sui perché, ma ciò non è mai accaduto in quanto i responsabili delle politiche economiche ed amministrative al pari di quelle giudiziarie hanno ritenuto che i problemi non potessero allora (come oggi) venire affrontati con i mezzi ed i tempi della politica e quindi sarebbe stato meglio non parlarne.
Una “strategia del silenzio”, questa, che ha lasciato il suditalia nell’arretratezza, sprecato enormi risorse pubbliche ed “ingrassato” le mafie diventate nei decenni garanti e sponsor di clientelismo ed assistenzialismo di un nuovo capitalismo politico legato alle erogazioni statali, che ha poi spiazzato negli anni quei pochi imprenditori del sud che operavano sul mercato vero e che presto sono diventati preda dei condizionamenti di una criminalità forte nel portar voti di scambio ad amministratori locali accondiscendenti se non addirittura collusi.
Ecco perché la “strategia del silenzio” ha sempre avuto buone motivazioni, non solo per la fiducia “di scambio” fra politici e mafiosi ed il timore da parte dei primi di far peggio (per loro stessi) a cambiare, ma anche perché da sole le forze sociali sane nella società civile del suditalia non hanno mai potuto farcela nemmeno a scalfire questo sciagurato trend.
Se il Sud piange il norditalia però non ride, malgrado le inchieste delle procure Antimafia che hanno sì prodotto qualche risultato proteggendo imprenditori che hanno denunciato soprusi e infiltrazioni da parte della criminalità organizzata, ma i giuramenti di affiliazione (soprattutto alla ‘ndrangheta) per eleggere rappresentanti di cosche nelle amministrazioni locali sono continuati a danno del settore del commercio dei locali, della ricchezza della ristorazione e delle spiagge blu dei laghi, mete del turismo milionario mondiale.
Del resto al nord la mafia c’è, ma pur essendoci se non spara e non fa stragi non si vede e (per ora) resta un tema marginale per i tanti che non vogliono vedere, del resto ciò confermato da un sondaggio di una decina di anni fa dell’associazione antimafia Libera che stimò come il 70% dei lombardi non fosse minimamente preoccupato per la mafia malgrado roghi, delitti, intimitazioni ed altri guai a danno delle amministrazioni locali malgrado le news pubblicate a tutta pagina dagli organi di stampa.
Altro discorso quello delle responsabilità collettive, a cui gli amministratori per ora hanno risposto con un “benaltrismo” fuori luogo considerando la mafia come un problema abitudinale e residuale ed anteponendo a questo altri spauracchi politico-amministrativi, facendo così un favore alle mafie e dimenticando giustizia sociale, le politiche che favoriscono la dignità delle persone e soprattutto quella dei nostri giovani con quell’idea (attualissima) di non poter parlare di mafia nelle scuole, con la motivazione di dar così alla mafia troppo importanza.
Una questione invece da considerare bensì tutto l’opposto così ad auspicare progetti per la diffusione della cultura della legalità fra i giovani come quella di inserire semmai un’ora di lezione a settimana su Cosa Nostra e non sul codice della strada per così “inventare” un qualche punto di partenza a rompere le omertà che ancora proteggono la criminalità organizzata.
La mafia va spiegata e chiamata col suo nome e non solo a ricordarne i martiri morti ammazzati nei salotti ovattati dei “palazzi della politica” com’è accaduto finora, si deve aver coraggio di parlarne a scuola, nei circoli culturali, nelle associazioni di volontariato finanche al bar dove di solito si parla d’altro.
Ciò l’anno capito alcune coraggiose amministrazioni di piccole comunità sia esponendo in prima persona il loro primo cittadino, come nel caso di Valentina Palli sindaco di Russi (Ra), che si è fatta fotografare davanti al municipio con un emblematico cartello antimafia appeso al collo, sia organizzando incontri assieme alle associazioni di volontariato delle proprie zone come a Bagnacavallo (Ra) e Conselice (Ra) con l’obiettivo di creare percorsi di legalità e giustizia sociale di contrasto alle mafie rivolti agli studenti, scuola primaria e/o superiori che sia.
Un bel messaggio questo a non abbassare la guardia contro mafia, camorra, ‘ndrangheta realizzato però solo da alcune amministrazioni dei Comuni della Bassa Romagna, le altre sebbene facenti parte dello stesso “team” hanno scartato in religioso silenzio quelle iniziative sollevando di conseguenza da parte dei propri cittadini perplessità su chi li governa, soprattutto su empatia, pragmatismo e lungimiranza che invece su queste tematiche sarebbero a lor parere serviti.
Una “distrazione” questa che ha inquietato, indisposto e non mancherà di aver effetti negativi in termini di consenso elettorale soprattutto perché oggi più che mai, anche per contrastare la criminalità, bisogna essere coesi ed esser pronti ognuno a far la propria parte senza slogan né espressioni di luoghi comuni come invece si faceva tempo fa, soprattutto coi giovani e lo si vede in quelli che vanno agli incontri, se gli si fa retorica alzano gli occhi al cielo e si annoiano.
(Giuseppe Vassura)