La rubrica letteraria “Lo scaffale della domenica”, a cura di Andrea Pagani, dedica il mese di marzo ad alcuni capolavori del nuovo Millennio: quattro libri del nostro tempo, fra fine Novecento e inizio XXI secolo, che hanno segnato una svolta nella scrittura e nelle tematiche narrative.
Il rischio maggiore che corre uno scrittore che intenda raccontare una complessa e lunga saga familiare, ossia la storia di un albero genealogico in decenni o addirittura in secoli di vicissitudini, è il rischio di offrire un resoconto superficiale delle vicende, ovvero di limitarsi ad un documento esteriore, alla cronaca dei fatti, alle prese con una molteplicità di personaggi e situazioni, senza scendere nel dramma psicologico o nelle vite intime dei protagonisti.
È un rischio che non corre lo scrittore britannico Jonathan Coe col romanzo La famiglia Winshaw, pubblicato per la prima volta nel 1994, tradotto in tutto il mondo e ormai un classico del nostro tempo: in quest’opera, infatti, Coe (nato a Birmingham nel 1961, laureato a Cambridge e residente a Londra), riesce a coniugare assieme, in modo del tutto originale, l’intelaiatura narrativa di una reticolata saga familiare con il ritmo concitato del thriller, l’affresco sociale e civile di un documento storico, l’aspetto intimistico e struggente, a volte drammatico, altre volte sentimentale, di un romanzo di memoria.
Come riesce Jonathan Coe in questa impresa sontuosa?
Difficile dirlo. Di certo la strategia più efficace, che permette all’autore di passare da un genere all’altro con maestria e disinvoltura, consiste nel porre al centro del libro un io narrante onnisciente un po’ spaesato, stravagante eppure dotato di un intuito sagace, lo scrittore Michael Owen, che viene incaricato da Tabitha Winshaw di scrivere una storia della sua famiglia e nel contempo di scoprire se era stato davvero Lawrence Winshaw a procurare la morte in guerra di suo fratello Godfrey, nel 1942.
In questo modo, attraverso la voce narrante di un intellettuale che funge anche da investigatore e da analitico osservatore delle vicende umane, il romanzo riesce a intrecciare assieme diversi stili di scrittura, dalla detection al lirico, e a saldare la minuta storia dei singoli con la grande Storia dell’Inghilterra negli anni di Margaret Tatcher.
Così, narrare le vicende degli avidi e rapaci membri della famiglia, saldamente insediati ai posti di comando della finanza e della società inglesi, è l’occasione e il pretesto narrativo per mettere in luce gli aspetti più oscuri dell’Inghilterra thatcheriana e il disprezzo delle élite nei confronti delle masse: la famiglia Winshaw, in tal senso, incarna il delirio di potere di una classe sociale e di una cultura spregiudicata che tuttavia il libro non denuncia apertamente ma fotografa nel suo cinico squallore.
Eppure, nel libro di Coe non c’è solo questo.
C’è anche un più lontano riferimento alla radice dei drammi della famiglia, risalente agli anni della seconda guerra mondiale, ad una notte del novembre 1942, quando Godfrey Winshaw, che aveva solo trentatré anni, fu abbattuto dalla contraerea tedesca mentre volava sopra Berlino per una missione segreta, tanto che questa notizia fece sprofondare la sorella maggiore, Tabitha, nel gorgo della pazzia. Da quel lontano trauma si dipanano poi le spirali di tragedia, sospetti, rancori, che covano nel segreto dei membri della famiglia e che conducano ad un sorprendente colpo di scena finale.
Un romanzo ineguagliabile per la forza strutturale, per l’articolato sistema compositivo, per la rete di destini incrociati e d’invenzioni letterarie, e allo stesso tempo capace di commuovere, far riflettere, trasmettere suggestivi sussulti di stupore.
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(Andrea Pagani)