Terzo racconto di Roberta Giacometti dedicate alle figure femminili della sua famiglia.
La prima dimostrazione che la vita si può prendere anche in modo surreale me l’ha data mia madre, la persona più concreta e materiale che io abbia conosciuto.
Lei lo faceva in modo inconsapevole, con un gusto estetico tutto suo: se vedeva un fiore profumato o una bella pianta lungo la strada la coglieva al volo e diceva: la dis tòm só!
Quando vedeva qualcosa che stonava ai suoi bellissimi occhi, una poltrona in un salotto, una fantasia di una tappezzeria, una giacca a righe sopra una gonna a fiori, un colore troppo sgargiante in un completo grigio perla, un cappello sulle ventitrè troppo arzigogolato, una collana con una chiusura troppo vistosa, un paio di pantaloni troppo larghi o troppo stretti o una cintura portata sotto il giro vita, ecco che lei scuotendo le mani davanti a sé sentenziava: la dis tòm véa! Ecco fiori, piante, abiti e accessori, stoffe e poltrone, prendere voce e reclamare il proprio ruolo agli umani privi di buon gusto e lontani dal senso estetico. Prendimi su, toglimi, dicono, portami via! Dice toglimi!!!
D’estate, in villeggiatura al mare, alla mamma piaceva sedersi sulle panchine davanti alla gelateria migliore della riviera, mangiare il più buon gelato al mondo e guardare il passeggio.
Mentre gustava cioccolate e cremerie in pieno sballo da dolci, osservava gli abiti delle milanesi che lei riteneva le più metropolitane e alla moda.
Lodava con gli occhi gli abiti ben fatti, i completi coordinati e le borse in tinta, le rifiniture di sartoria, non sprecava parole perché gustava il gelato e non voleva perderne neppure una goccia, ma appena ai suoi occhi appariva una qualsiasi cosa che la irritava allora voleva condividere con me il suo disgusto: Guérda cla camìsa! la dis tòm véa! Sla s’avdèss cun i mi óc! Se si vedesse con i miei occhi!
Era appena passata una signora della stessa sua età con una camicetta piena di frappe svolazzanti di un colore diverso dalla gonna e con la schiena troppo scoperta. Insomma i suoi occhi dettavano legge e cercava consensi nelle altre signore a fianco.
Voi cosa ne pensate, sembrava chiedere, ma la frase non la pronunciava.
Gli altri si facevano i fatti loro, a volte rispondevano solo con un pallido sorriso… e poi il dialetto romagnolo in Romagna lo parlano tutti ma non i villeggianti!
E così solo io rimanevo a rispondere: pur di mangiarmi il più buon gelato della riviera ero disposta a guardare camicie e bolerini fin verso l’ora di andare a letto.
Mmm, dicevo io, lei mi guardava e scuoteva il capo: “mica metterti addosso della roba così, tanto per farti notare, che ti strozzo”, dicevano quegli occhi.
Una sera entrammo in un negozio di vestiti, succedeva di rado perché soldi da spendere oltre a quelli dell’affitto per la casa al mare non ce n’erano, già le vacanze erano un lusso, ma quella volta la mamma era stata attratta dalla grande scritta che indicava sconti promozionali: chissà cosa voleva dire, ma la parola sconti l’aveva incoraggiata a entrare e guardare fra le grucce per carpire qualche nuovo modello.
Lei comprava la rivista BURDA per cucire abiti per tutta la famiglia, con i cartamodelli tagliava la stoffa che comprava al mercato e poi di sera, seduta sulla tavola della cucina, imbastiva i pezzi.
Poi c’era la giornata di rito della prova: in piedi sulla sedia noi modelle di casa indossavamo l’abito imbastito, lei con gli spilli in bocca, aggiustava e metteva riprese: sapessi com’è difficile togliere difetti dai vestiti mal tagliati, diceva, per quello non si fidava delle sue mani e comprava i cartamodelli.
Poi con la sua Singer confezionava l’abito e dal momento che diventava nostro, mio o di mia sorella, guai a romperlo o macchiarlo!
Toccare con mano stoffe e tagli raffinati le dava gioia, perché sapeva quanto lavoro e quanto impegno c’erano dietro un abito ben fatto e per questo era entrata nel negozio, per strofinare e commentare: guarda questo bavero, ci han messo questa rosa di stoffa che vuole essere un bell’abbellimento… in realtà sembra una cipolla al forno, mah… questo chifon è fantastico, senti com’è morbido e cade a pennello ma l’abito è troppo corto, questa scollatura non è regolare, quelle maniche fanno il “pipiotto”, ah, questo sì che ti starebbe bene, provatelo.
Io dovevo fare da modella. Sceglieva un abito, mi invitava a cambiarmi e mi sottoponeva al suo occhio critico e indagatore: non c’era difetto che le sfuggisse. Ah, questo no, con le tue gambe grosse grida vendetta, e dis tòm véa!
La giovane commessa ci guardava con curiosità e si asteneva da porre altri commenti, ma quella sera in negozio c’era anche la titolare, la quale mise su un’aria di rimprovero, non le piaceva affatto sentir criticare i suoi modelli e si creò una situazione imbarazzante.
Ma signora, cosa dice, bisogna essere moderni, la moda cambia, questi modelli vengono da Milano, da Torino, le migliori sartorie, si rifanno ai modelli americani, francesi, non vede che frappe perfette, che corpetti meravigliosi, risaltano il seno, che linee slanciate, qui in questo negozio abbiamo il meglio!
La mamma non cedeva. Si mise a controbattere parlando di sartorie e di cuciture, di maniche a sbuffo e raglan come fossero l’unica cosa che in quel momento avesse per la testa.
Ma qualcosa di bello c’era: l’aveva colpita una camicia senza maniche di seta rosa, con il colletto ricamato e i bottoncini di madreperla.
Avrebbe voluto provarla ma non era abituata a svestirsi nei negozi chic.
Con sincerità glielo disse e la signora insistette perché solo indossandola avrebbe potuto ammirare la perfezione del collo.
Lei se ne intende, le disse.
Orgogliosa andò in camerino e spuntò timidamente con la camicia rosa.
Le stava bene, non le uscì di bocca quel tòm véa! Si guardò allo specchio soddisfatta, le sembrava di essere ancora bella.
Una camicia senza maniche era ardita per lei, le braccia da lavoratrice, grosse e un po’ tozze non erano il massimo, ma in quei giorni aveva preso un po’ di sole e guardandosi allo specchio accettò la sua immagine con un sorriso compiaciuto.
Rimirava i bottoni di madreperla e le asole ricamate a mano con punto perfetto. Cercò di sbirciare il prezzo dal cartellino, ma non aveva con sé gli occhiali, allora mi chiese di leggere il prezzo e di dirglielo in un orecchio. Sparava sentenze ma non voleva sembrare troppo venale.
Io non feci in tempo perché la signora capì al volo, guardò il cartellino e con voce indifferente disse un prezzo che anche scontato per la mamma era stratosferico.
Stette zitta per un minuto buono.
Poi si tornò a cambiare, guardò ancora fra le grucce, non trovando quello che cercava si rivolse alla titolare che con professionalità stava spiegando quanto fosse di classe quella camicetta, l’aveva indossata anche una presentatrice alla TV.
Qui la mamma quasi si commosse perché le piaceva assai quella signora per bene, con quella bella pettinatura accotonata, che tutte le sere annunciava con una voce e dizione perfetta i programmi alla TV.
Le sarebbe piaciuto davvero poter avere anche lei una camicia da signora.
Ma ben presto questi pensieri le passarono e decise che l’acquisto non si poteva fare.
La signora aveva tanto insistito che la provasse, per tentarla, ma lei non ci cascava, quei soldi non li aveva, usciva di casa con nel borsellino i pochi spiccioli che servivano per i nostri gelati.
Ma prima di lasciare il negozio, immaginando cosa potesse pensare di lei quella signora così ben vestita e truccata, volle lasciarle ancora una sua chicca: «Ci scusi per il disturbo, comunque la camicia è davvero ben fatta sa, complimenti a lei per la scelta. Ma… costa così tanto, io non posso permettermela. E poi, quando potrei mai indossarla! Ma senta, volevo chiederle, volevo dirle…. ascolti me che son sarta, la camicia è pure senza maniche, quel prezzo mi sembra un vero furto. Con le maniche allora, che son le più difficili da confezionare, mezzo metro in più di seta, chissà quanto costerebbe, chi se la potrebbe permettere una camicia così?!»
Nel frattempo io mi ero fatta una bella macchia di cioccolata sulla maglietta.
«Ecco, la solita sbrodolona, roba da poco per te ci vuole… Via, via che sporchi tutti questi bei vestiti. Dai andiamo a casa che passiamo subito un po’ di sapone da bucato su questa macchia e domani la tua maglietta vedrai, sarà come nuova!»
La titolare del negozio ci salutò divertita, credo che una coppia così non l’avesse vista in tutta la stagione e sapeva che non l’avrebbe rivista mai più.
(Roberta Giacometti – Le immagini contenute nel pezzo fanno parte dell’archivio di famiglia)