L’Emilia-Romagna è nella top ten (ottavo posto) delle regioni europee più esposte agli eventi meteorologici estremi e al cambiamento climatico al 2050. In Italia fanno peggio solo Veneto e Lombardia (rispettivamente quarto e quinto posto). Lo rivelano i dati della prima analisi globale del patrimonio immobiliare e del territorio realizzata in collaborazione con i leader mondiali dell’analisi del rischio climatico.

In altre parole, buona parte della “locomotiva economica” del nostro Paese è esposta al rischio climatico. I fattori analizzati sono: inondazioni fluviali superficiali e combinate con l’inondazione costiera; caldo estremo; incendi boschivi; movimenti del suolo (legati alla siccità); vento estremo; gelate.

Il verdetto di questo studio non sorprende: i grandi cambiamenti ambientali e climatici in atto sono sotto i nostri occhi. Le recenti piogge e le nevicate delle settimane scorse hanno portato solo un po’ di sollievo ai terreni inariditi. Ma non sono la soluzione al problema della siccità, come lamentano quasi ogni giorno gli agricoltori, preoccupati per i prossimi raccolti. E se va in malora la produzione di alimenti, i prezzi saliranno alle stelle e comunque non ce ne sarà per tutti. Ricordo che dati usciti a metà dello scorso decennio evidenziavano che un italiano su quattro mangia cibo di importazione. E nonostante questo, si continua a consumare suolo agricolo, sempre più spesso a favore della dilagante logistica

I campanelli d’allarme sul pericolo siccità che suonano sono tanti: basti pensare al Po. Le piogge di cui dicevo hanno alzato il livello delle acque solo di qualche centimetro. Per contro, continua l’avanzata sotterranea dell’acqua salata nel Delta: nel Po di Goro, secondo le ultime analisi di Arpae, il cuneo salino è già a oltre 19 chilometri dalla costa. Numeri impressionanti in questa fase dell’anno. Anche per questo, l’idea lanciata dal governo Meloni di riprendere le trivellazioni al largo del Delta è insensata: porterebbe solo ad incrementare l’ingressione salina. Altra immagine emblematica è quella del Lago di Garda, dove la carenza idrica ha fatto riaffiorare l’istmo che collega la riva all’isola dei Conigli.

La preoccupazione per la diminuzione delle precipitazioni dovrebbe spingerci a mettere in campo misure a 360 gradi. Secondo un recente studio del WWF “dobbiamo prepararci a una realtà nuova, caratterizzata anche da una riduzione della disponibilità idrica media annua …e cambiare, anche ponendo rimedio agli errori del passato a cominciare dagli sprechi e dalle perdite della rete di distribuzione (oggi fino al 40%) e nelle case, dove gli italiani sono campioni d’Europa di spreco (220 litri in media abitante al giorno). Dobbiamo anche ridurre il fabbisogno di acqua in agricoltura che utilizza oggi il 60% della risorsa acqua disponibile”.

In questo scenario, la politica dello struzzo è la più pericolosa. Per dirla con Luca Iacoboni, responsabile programmi nazionali di Ecco, think tank italiano per il clima, “il costo dell’inazione è di gran lunga più alto di quello che si dovrebbe sostenere per mettere in campo efficaci azioni di mitigazione e adattamento”. Un’indicazione condivisa dalla comunità scientifica ma non dalla classe dirigente, soprattutto quella italiana, che non ragiona in ottica di prevenzione dei danni e di conversione ecologica sistemica, ma procede sperando che le pezze messe qua e là siano sufficienti a sfuggire alle conseguenze catastrofiche del riscaldamento globale.

I danni dell’inazione li stiamo già pagando, e di questo passo non potranno che aumentare. Tornando ai dati su riportati sull’elevato rischio climatico a cui è esposta l’Emilia-Romagna, chi investirà nelle nostre aree a rischio? Chi investirà in aree inquinate che stanno fuori dai parametri UE? Anche Assolombarda, la potente associazione degli industriali lombardi, è convinta che sia necessario accelerare la transizione. Per il presidente Alessandro Spada si tratta di “una delle sfide più significative che le imprese sono chiamate ad affrontare oggi, così come anche nel prossimo futuro… un percorso non più rinviabile, ma già in corso, che richiede un ripensamento delle fasi della catena del valore”.

In questo contesto è sempre più necessario diffondere consapevolezza e fare proposte per rispondere ai cambiamenti climatici in atto e  invertire il trend del riscaldamento globale.

Nella mia attività di capogruppo di Europa Verde nell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna mi sono occupata più volte della necessità di contrastare l’emergenza climatica, cogliendo anche le opportunità economiche e occupazionali che offrono la transizione ecologica ed energetica. E a più riprese mi sono occupata di siccità. L’ultima volta, pochi giorni fa, con la presentazione di una risoluzione sulle misure da prendere. Occorre coinvolgere e responsabilizzare tutti gli stakeholder regionali: dal mondo agricolo a quello zootecnico, a quello industriale, alla ricerca. Bisogna abbandonare il modello dei mega allevamenti (la produzione di un chilo carne bovina richiede quantità enormi di acqua) e in agricoltura passare a colture meno idroesigenti. Come consumatori possiamo tenerlo presente quando facciamo la spesa.

Non c’è più tempo da perdere: ce lo ricorda anche l’orologio climatico che, grazie a Europa Verde, campeggia del sito dell’Assemblea legislativa: il 2030, l’anno di riferimento entro il quale dovremo completare l’inversione di rotta per non perdere il controllo sui cambiamenti climatici, è dietro l’angolo.

(Silvia Zamboni, Capogruppo di Europa Verde e vicepresidente dell’Assemblea legislativa Emilia-Romagna)