La recente dichiarazione di Ignazio La Russa, ultima di una lunga serie, ci fornisce l’ennesimo esempio del bagaglio culturale di questa destra.
Ormai è appurato che se da una parte abbiamo una sinistra che ha dimenticato con troppa fretta le proprie radici e ha smesso di comportarsi in tal senso, dall’altra abbiamo una destra che proprio non si riconosce nella lotta all’antifascismo e anzi, alcune volte, sembra storcere il naso quando si parla di Costituzione.
Facile dire che paghiamo ancora il prezzo di non aver avuto all’interno del Parlamento una destra democratica, europeista, antifascista, avendo avuto per cinquanta anni un partito che direttamente si richiamava all’esperienza di Salò e fuori dall’arco costituzionale.
Abbiamo quindi oggi partiti di destra che collocano nel proprio pantheon soggetti come Almirante, Rauti ed altri, ossia persone che di quel sistema (ossia il regime fascista, monarchico e repubblichino), facevano ampiamente parte.
Poiché però la storia ha detto in modo chiaro chi stava dalla parte del giusto e chi dalla parte degli orrori nazi-fascisti, questa destra sembra costretta, per rivendicare la propria agibilità politica (in senso di valori), non potendo cambiare il corso degli eventi passati, a dover compiere un’operazione diversa.
Questa operazione possiamo così sintetizzarla: se non posso alzare il livello dei miei, allora abbasserò quello degli altri. In che modo? Sostenendo (nel caso recente anche con errori storici) che pure i partigiani, tutto sommato, non erano poi diversi dai tedeschi. Il secondo passo è quello di chiedere una non ben precisata “pacificazione storica” tra vincitori e vinti (chissà cosa ne pensano i superstiti dell’olocausto…), come per voltare pagina e lasciarsi alle spalle tutto. Soluzione questa che sembra essere un semplice colpo di spugna sul passato, peraltro non nuovo nel nostro Paese già dal dopoguerra.
La speranza invece è un’altra: avere finalmente una destra moderna che ammetta senza distinguo che il fascismo fu una associazione a delinquere e Mussolini ne fu il capo.
(Andrea Valentinotti)