Un’intervista che delinea lo stato di disagio di chi opera nel mondo della disco-music è stata quella rilasciata dal noto Dj e produttore Bob Sinclar che recentemente ha dichiarato che “…la House Music è morta…” scagliandosi contro i social (come ad esempio Tik Tok) rei a suo parere di promuovere solo “contributi” di pessima qualità, che non portano novità e capaci soltanto di “… distruggere tutto…”.

Messaggio forte questo che accomuna d’altronde il timore di tutta la categoria dei Dj che ha vissuto in prima persona fino a poco tempo fa il dorato mondo delle discoteche (David Guetta, Albertino, ecc.) e che ancora si diverte in consolle a far divertire la gente che vuole ballare ma che a differenza del recente passato è costretta, per riempire i palazzetti e le poche discoteche ancora aperte, a riproporre solo musica anni ’90 anziché qualcosa di nuovo.

Discoteca (Free-Photos da Pixabay)

Un comparto quello del “divertimentificio” delle sette note che oggi naviga a vista ed in brutte acque, è di queste ultime settimane infatti la triste vicenda (anche giudiziaria) del Pineta di Milano Marittima, una delle discoteche più “in” della riviera romagnola dove vip d’ogni tipo e categoria erano fino a qualche anno fa di casa al punto da poterli ricordare come in una bolla di sapone magica dentro la quale è stato possibile coccolare solamente pensieri positivi e “amarcord” del tempo che fu.

Poi la musica è “cambiata”, con l’utenza dance che ha abbandonato le sale da ballo per preferire location diverse, tanto gli “Happy Hour” balneari ad esempio peraltro a costo (quasi) zero, quanto gli “approcci” gratis su Internet dove ben presto è diventato realtà il sogno di milioni di appassionati di dance-music per fruire di musica a sbafo.

Se la musica da discoteca come ogni forma d’arte sopravviverà ai segni di un destino che sembra segnato non è modo si saperlo, ma queste ultime vicende non promettono bene ed agitano non poco i non più giovanissimi “nostalgici” che ancora ricordano i primi “night” anni ’50/’60 dove si passavano notti da play boy con donne fasciate di lamè e lo champagne che scorreva a fiumi, poi come detto un lento declino (e per molti locali la fine).

Discorso a parte per i locali della riviera romagnola e in parte di quella toscana dove numerose (storiche) discoteche sono sopravvissute alla crisi della dance-music “attualizzandosi” ai tempi rimanendo così le mete preferite di utenti di ogni età e classe sociale, dal provinciale single di mezza età con il vestito della domenica, al giovane industrialotto rampante col ciuffo alla Elvis, al commenda col Ferrari in cerca di approcci.

Col senno di poi e guardando per un attimo al passato, è forse mancata la moderazione? Forse si, troppi eccessi (e troppi sprechi) con qualcosa che è mancato e che invece avrebbe dovuto diventare concetto centrale a ricalibrare aspettative ed obiettivi, né troppo né troppo poco ed in armonia. Questo nei decenni passati non l’ha capito quasi nessuno, a cominciare proprio dai Dj man mano diventati da semplici “smanettoni” dell’intrattenimento negli anni ’70 alle celebrità da palcoscenico che conosciamo oggi, con cachet a sei zeri e sempre in consolle, tanto a mixare nei locali della movida milanese affacciati ai Navigli quanto a far ballare folle a Ibiza, Miami, Las Vegas, Dubai, Montecarlo, Sidney, Tokio, ecc.

La parola “Movida” che oggigiorno è purtroppo diventato marchio di trasgressione ed eccesso in origine negli anni ‘70 ha significato invece un “movimento” tutto al contrario perchè legato alla cultura hippy ossia un fenomeno artistico, sociale e culturale che aveva (anche) dalla sua allegria e colore. Almeno finquando i media negli anni ’80 non l’hanno trasformata in “sballo”, quel caotico fenomeno di massa che purtroppo ben conosciamo dove a prescindere si vuole eccedere, qualunque ne sia il costo.

(Giuseppe Vassura)