I dati Istat di marzo 2023 confermano la disoccupazione totale al 8% con quella giovanile al 22,40% imputando quest’ultimo triste primato in ambito europeo proprio alle ragazze e ai ragazzi del nostro Paese, dito puntato perciò a governo e sindacato che evidentemente finora non sono “intervenuti” adeguatamente a rimediare a questo rimarchevole gap.
Quest’anno Cgil, Cisl e Uil dopo anni difficili (pandemia) e la guerra russo-ucraina in corso, hanno coniato lo slogan “…al lavoro per la pace…” malgrado le impietose news dei media che quotidianamente ci informano invece del contrario ossia che né di lavoro né di pace se ne vede l’inversione di tendenza, almeno nel breve termine. E’ comunque di buon auspicio la grande fiducia di chi ripone nei fondi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza la riforma delle politiche del settore al fine di incrementare l’occupazione, ma volgendo l’occhio al passato il condizionale è d’obbligo.
E’ però nelle parole (e nei fatti) che il sindacato unito fa ben sperare, tutti in piazza a celebrare la festa dei lavoratori per sottolineare la gravità dei problemi ma anche a rimarcare il rafforzamento degli ammortizzatori sociali e delle politiche per l’impiego, le misure per l’occupazione giovanile soprattutto femminile e la conciliazione vita-lavoro a tutela della dignità della gente, per fare così in modo che le imprese tornino ad assumere con contratti “buoni” ed investano in formazione, d’altro canto assicurando a tutti un pacchetto di sostegni in denaro e servizi per far fronte ad eventuali periodi di disoccupazione.
Malgrado queste aspettative una gran parte di scontenti già da qualche tempo sta rumoreggiando, mettendo sempre più in dubbio la popolarità del sindacato reo di aver perso “il senso della realtà” e il coraggio, acquisendo di contro una deleteria capacità di intermediazione preda di veti e scioperi inutili anziché invece “far muro”, a favore tanto di quei lavoratori soggetti agli alti e bassi della congiuntura economica quanto di quelli beneficiari del “posto fisso” che conserva salari e stipendi indipendentemente l’andamento del Pil.
Prima o poi l’illusione che queste due categorie di lavoratori possano convivere ancora a lungo finirà ed un giorno o l’altro governo e sindacato, che tanto parlano di diritti e giustizia sociale, si renderanno conto dell’urgenza nel porvi mano bannando l’assistenzialismo che a volte da ciò è nato, in nome del principio dell’eguaglianza.
Valore questo caratteristico della cultura nordeuropea che prima o poi dovrà diventare (quasi) di casa anche da parte delle nostre istituzioni che operano in questo ambito così a segnalare e promuovere percorsi occupazionali e formativi ove c’è bisogno, soprattutto nell’interesse dei giovani.
Questo ad evitare o almeno a limitare il paradosso (soprattutto italiano) di imprese che hanno un disperato bisogno di lavoro qualificato ma chi è a spasso non ha le competenze necessarie per ottenerlo, tanto nel manifatturiero e/o matematico- fisico, quanto nelle scienze sociali o mediche.
E’ poi da qui che conseguentemente può nascere lo scoraggiamento di chi è poi convinto di non poter trovare un lavoro perché troppo giovane o troppo vecchio a prescindere dal ritenere che esistano occasioni nel mercato del lavoro.
Il sindacato (e il governo) dovrà perciò necessariamente fare la sua parte soprattutto se in futuro aumenterà l’incertezza economica e non si potrà puntare a ridurre il costo del lavoro per incentivare l’occupazione, un guaio questo che indebolirà le tutele per i lavoratori al punto che del “diritto al lavoro” previsto dalla Costituzione non rimarrà un granchè, un guaio dove finiremo tutti quanti con meno lavoro, con una distribuzione più diseguale del reddito e con poche protezioni sociali.
Il futuro è d’altronde dietro l’angolo assieme all’era dei robot che annunciata da decenni da film e libri sta arrivando davvero, con strumenti che operano già negli ospedali, macchine che gironzolano sulle piste degli aeroporti e quelle che da tempo sostituiscono l’operaio nel montare o verniciare un’auto al pari di tutti quei bancomat a sostituire i cassieri dei “fu” sportelli bancari.
Questa rivoluzione digitale obbligherà chi rappresenta i lavoratori ad innovarsi perché la distruzione dei posti di lavoro ne creerà molti altri in campi diversi ed è qui che un sindacato degno di questo nome dovrà essere pronto ad affrontare un quadro incerto, complicato e da specialisti, pronto ai salti nel buio e ad interpretare schemi innovativi seppur consolidati e pronto se sarà obbligato a fare scelte coraggiose senza sfaldamenti al proprio interno. Ne sarà all’altezza?
(Giuseppe Vassura)