Da oggi si inaugura una nuova rubrica, curata da Andrea Pagani, dopo la felice esperienza dello “Scaffale della domenica”. Il nuovo appuntamento si chiamerà “Profili”. Si tratta di una rubrica mensile, che uscirà l’ultima domenica di ogni mese, in cui si proporrà il profilo di un grande artista della letteratura, della pittura, del fumetto, del cinema, della storia. Un altro appuntamento imperdibile. Buon viaggio!
Di certo, quando Italo Calvino si mise a lavorare, con il suo abituale rigore, a quel ciclo di lezioni che avrebbe dovuto tenere nell’autunno del 1985 alla Harvard University, ma che non tenne per la morte improvvisa (colpito da ictus il 6 settembre 1985) e che vennero pubblicate postume a cura delle moglie Esther Judith Singer col titolo di Lezioni americane, ben sapeva che avrebbe consegnato al nuovo millennio non solo un capolavoro di riflessioni saggistiche, non solo un fondamentale testamento letterario, ma anche un’eredità di idee e meditazioni sulla letteratura e la storia che ancor oggi conservano tutta la loro efficacia e intensità.
Quest’anno che si festeggia il Centenario della nascita dello scrittore (nato a Cuba nel 1923, ma cresciuto a Sanremo, a fianco di una famiglia di scienziati agronomi, che influenzarono molto la sua singolare sensibilità letteraria, contaminata da elementi di scienze naturali), si comprende bene l’attualità e la forza profetica del pensiero di Calvino, e quanto quelle Lezioni americane parlino agli uomini del nostro tempo.
Quelle riflessioni, che rappresentano gli appunti delle lezioni ma che hanno una fisionomia narrativa e saggistica ben strutturata, e che Calvino scrisse in gran parte nella sua casa a Roccamare in Toscana nell’estate del 1985, in un confronto costante con l’amico Pietro Citati, sembrano muoversi attorno ad una serie di interrogativi nevralgici.
Qual è l’importanza della letteratura? Come può incidere nella realtà? Quale utilità ha la scrittura nella vita di ogni persona?
In verità, lo snodo concettuale di Calvino parte già dagli anni ’50 quando l’autore aveva sviluppato una serie di argomentazioni attorno al rapporto fra letteratura e società nei saggi Il midollo del leone (1955) e La sfida al labirinto (1962), poi raccolti nell’opera Una pietra sopra (1980), in cui osservava con una lucida inquietudine la “pestilenza” che contaminava il mondo: ossia, una sorta di «epidemia del linguaggio, di bombardamento di parole, di profluvio caotico e snervante di immagini».
Lo scrittore segnalava il rischio che stava correndo il mondo, letteralmente bombardato da una pioggia ininterrotta di parole e immagini per la gran parte superflue, vacue, frastornanti, il che produceva un triplice effetto negativo: farci perdere il senso della parola esatta, limitare la nostra capacità creativa e fantasiosa, bloccare il nostro senso critico e la nostra visione interpretativa del mondo.
Per la precisione, Calvino considerava che l’eccesso di parole e immagini che ci vengono di continuo somministrate con violenza dai mass media oltre a produrre una «confusione del linguaggio», oltre a farci perdere di vista il valore della singola parola esatta e precisa, caricata di significato, ci priva anche di un’altra facoltà intellettuale: cioè la forza spontanea e potente di creare immagini, di fantasticare, di inventare, e allo stesso tempo di leggere il mondo in modo soggettivo, complesso, problematico.
Questo grappolo di idee viene ripreso e approfondito da Calvino nelle Lezioni americane del 1985 e precisamente nel capitolo dedicato alla Leggerezza, quando così scrive: «Viviamo in una pioggia ininterrotta d’immagini; i più potenti media non fanno che trasformare il mondo in immagini e moltiplicarlo attraverso una fantasmagoria di giochi di specchi; immagini che in gran parte sono prive della necessità interna che dovrebbe caratterizzare ogni immagine, come forma e come significato, come forza d’imporsi all’attenzione, come ricchezza di significati possibili. Gran parte di questa nuvola d’immagini si dissolve immediatamente come i sogni che non lasciano traccia nella memoria: ma non si dissolve una sensazione d’estraneità e di disagio».
Si tratta di un ragionamento di una prodigiosa forza profetica.
Calvino aveva compreso con geniale profondità il «disagio» del nostro tempo, un disagio esistenziale che per l’appunto parte da una «peste» del linguaggio e della capacità creativa, perché nel momento in cui gli individui sono sottoposti a questa «pioggia ininterrotta» di parole superflue e di immagini prive di «necessità interna», si contamina una virtù preziosa, ossia quella di inventare, ideare, progettare.
In tal senso, nelle Lezioni americane Calvino parla della funzione e dell’utilità della letteratura, un’arte tutt’altro che fumosa e astratta, ma anzi concreta, operativa, fondamentale: «La mia fiducia nel futuro – egli spiega – consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici».
Questo passaggio è decisivo.
Calvino qui tocca il vertice della sua riflessione, quando osserva che solo la letteratura «coi suoi mezzi specifici» può restituire alla parola la virtù della esattezza, della precisione, della memorabilità. E quindi può restituire all’uomo il suo potere di immaginazione, di libera creatività, di interpretazione, di complessità critica, di elaborazione ideativa.
È lo stesso snodo di idee che in tempi recenti un altro grande delle letteratura, Mario Vargas Llosa ha sviluppato in questo modo, usando, non a caso, le stesse parole di Italo Calvino: «Una persona che non legge, o legge poco, o legge soltanto spazzatura, può parlare molto ma dirà sempre poche cose, perché per esprimersi dispone di un repertorio di vocaboli ridotto e inadeguato. Non è un limite soltanto verbale; è, allo stesso tempo, un limite intellettuale e dell’orizzonte immaginativo, un’indigenza di pensieri e di conoscenze, perché le idee, i concetti, mediante i quali ci appropriamo della realtà esistente e dei segreti della nostra condizione, non esistono dissociati dalle parole attraverso cui li riconosce e li definisce la coscienza. S’impara a parlare con precisione, con profondità, con rigore e con acutezza, grazie alla buona letteratura, e soltanto grazie a questa. Parlare bene, trovare l’espressione esatta per ogni idea o emozione che si voglia comunicare, significa essere preparati meglio per pensare, insegnare, imparare, dialogare e, anche, per fantasticare, sognare sentire ed emozionarsi».
(Andrea Pagani)