Compleanno di mobilitazione per l’Ora della Terra 2023 a ricordare il pianeta più incasinato dell’universo, sempre più arroventato e più devastato da cicloni, inondazioni e da terribili siccità che fanno morti per fame e malattie indotte, colpa questa di un clima avverso dove il Pianeta sta passando dalla padella della siccità 2022 alla brace di “El Nino”, variante climatica al rialzo termico dell’oceano Pacifico che farà lievitare le temperature a livello planetario nei prossimi mesi del 2023.
Malgrado ciò se adotteremo le necessarie politiche ambientali saremo ancora in grado a rimediare ai guai del global warming e mantenere l’incremento della temperatura del pianeta sotto i 2 gradi, diverrà invece impossibile questa mission se qualcosa andrà storto finendo così a tagliare il nastro di fine secolo non con 2 ma con 3, forse 4 gradi in più rispetto al periodo preindustriale fino a raggiungere quel “punto di non ritorno” non reversibile per la nostra vita.
A rincuorare quei pessimisti che vedono sempre il bicchiere mezzo vuoto è d’esempio il traguardo, impensabile fino a pochi mesi fa, della fine emergenza Covid che è riuscito a dimostrare quanto la volontà radicata in una società coesa in princìpi, valori e solidarietà sia pian piano diventata forza inarrestabile, tanto a (ri) costruirsi un futuro quanto a rimandare indietro le lancette della paura di un virus sbucato dal nulla che minava la salute della gente.
Questo a scoprire una forza che non si sapeva di possedere ma che c’è stata, messa peraltro alla prova prima della pandemia 2020/’21 dalla tragedia dell’11 settembre 2001 ed il terrorismo internazionale finanche le crisi finanziarie come quella Lehman e le migrazioni di massa.
Serviranno invece ben altre alchimie socio-politiche nel futuro prossimo per limitare il riscaldamento globale che accentuerà la pericolosa degradazione del permafrost, quel terreno delle latitudini più a nord del pianeta e profondo da 300 metri a 1500 che secondo gli scienziati, appena si scongelerà, contribuirà tanto ad aumentare le emissioni di metano e CO2 in atmosfera quanto a far (ri) generare un’infinità di virus e agenti patogeni vecchi di milioni di anni la cui pericolosità per gli esseri viventi avrebbe addirittura conseguenze apocalittiche.
D’altronde le dinamiche dell’inverno appena trascorso sono state emblematiche, l’innevamento pari a zero ha reso impossibile sciare per la scarsità delle precipitazioni, causando inoltre una drastica riduzione della portata dei fiumi fin dai primi mesi del 2023 a danno dell’agricoltura di pianura, settore già peraltro in allarme per i ritardi (anche burocratici) delle sperimentazioni in campo di nuove biotecnologie che interessano cultivar erbacee e arboree a modifica genetica, così da risultare più idonee a superare gli stress ambientali, idrici e di fertilizzazione, come già da tempo emerso dal lavoro di laboratorio, a confermare resistenza alle malattie per così poi utilizzare meno pesticidi.
Mentre il deserto sta avanzando con l’anticiclone africano a spodestare quello (più mite) delle Azzorre e con le piogge di sabbia a caratterizzare sempre più il trend tropicale di questi eventi, la fragilità del sistema italiano sta mettendo a dura prova la “tenuta” dei settori più esposti al climate change, che stanno purtroppo ancora vivendo di “assistenzialismi” da parte della politica locale, mentre avrebbero bisogno di metter mano ai quattrini del Pnrr che in alcuni casi restano invece inutilizzati.
Se cancellare le emissioni è all’oggi utopia, anche perchè la pandemia ha fatto passare in secondo piano l’emergenza ambientale, per il futuro prossimo sarà questa la priorità per la lotta al riscaldamento globale. Abbiamo causato noi il global warming? Proviamo a limitarlo.
(Giuseppe Vassura)