La guerra scatenata dalla Russia invadendo il territorio della Repubblica Ucraina, localizzata comunque la si voglia vedere nel bel mezzo di economie fortemente concatenate tra di loro, ha determinato il presentarsi di problemi di non facile risoluzione anche perché le stesse economie stavano, con il fiatone, uscendo da un paio di anni di pandemia che aveva provveduto ad invalidare, dove più dove meno, i parametri stessi della già fragile economia di mercato presente.

La faticosa ricostruzione degli equilibri esistenti tra fornitura (e rinvenimento) di materie prime e la messa sul mercato dei prodotti finiti ha determinato il disequilibrio già precario esistente e la conseguenza diretta è l’insorgere della svalutazione del potere di acquisto decisamente estesa e presente in ogni mercato. Una svalutazione calcolata (ed effettiva), per lo meno in un primo, momento a due cifre non ha tardato a presentare l’inevitabile insorgere di fratture, anche profonde, tra il prezzo finito della merce sul mercato ed il potere di acquisto della domanda. Tale disequilibrio deve essere arginato e ricondotto verso parametri più contenuti e controllabili nel tempo più breve possibile: le banche centrali (di quasi tutti gli stati esclusi quelli a mercato valutario chiuso, vedi Cina) hanno avuto a disposizione la sola arma del rialzo del costo del denaro e ne hanno fatto uso in dosi davvero pesanti.

Nel breve, il potere di acquisto di salari e pensioni ha evidenziato decisi sintomi di disequilibrio, conducendo, i compratori verso una linea di particolare attenzione nel momento dell’acquisto ovvero verso attente e determinate scelte di consumo. Tale scelta conduce inevitabilmente verso un pesante ansimare del mercato: la peste in un’economia che individua nel mercato stesso l’equilibrio tra domanda e offerta.

Ed ecco che occorre individuare ripari e aggiustamenti. Ed occorre farlo in fretta.

Individuare e determinare forme di sostegno al potere di acquisto di salari e pensioni deve essere effettuato alla svelta facendo attenzione a non alterare altri fragili equilibri. Ed ecco che rivalutazioni di rendite pensionistiche, diminuzioni di aliquote scaglionate in base al reddito fanno la loro comparsa nelle agende del governo, particolarmente in quello di casa nostra.

Nei sacri testi di economia, in grassetto, sta scritto che ricorrere al debito per fronteggiare bisogni di prima necessità evidenzia un pericoloso inizio della fine e questo in ogni caso ed in ogni economia.

Così, la richiesta recente del governo italiano di ricorrere ad un ulteriore aumento del debito per far fronte al potere di acquisto delle famiglie evidenzia, come si suol dire, raschiare il fondo di un barile già di per sé decisamente vuoto. E le conseguenze, statene certi, non tarderanno a sopraggiungere e saranno pesanti.

Il tutto in un assordante silenzio riguardo l’individuazione, la risoluzione e la corretta penalizzazione verso il male “eterno” dei nostri equilibri finanziari: l’evasione fiscale. Un centinaio di miliardi di euro che vengono sottratti alla corretta tassazione ogni anno (c’è chi stima anche molto di più) potrebbero non solo rappresentare una manna assai preziosa in momenti nei quali il bisogno di liquidità a pronti appare determinante, ma anche la soluzione (facile) della progressiva diminuzione del debito pubblico.

Eppure, neppure l’ombra di un’iniziativa (risolutiva anche solo parzialmente) al riguardo: evidentemente siamo affetti da una forma di evasione fiscale congenita ed inguaribile. E si badi bene: se è vero che in questo momento riuscire a riscuotere le tasse dovute è altrettanto vero che da sempre i governi che si sono succeduti negli anni e nelle più svariate accozzaglie politiche non hanno saputo determinare interventi non dico risolutivi, ma neppure capaci di risoluzioni importanti.

Sembra quasi di trovarsi davanti ad un problema di causa ed effetto: a chi fa comodo che l’effetto spinga alla non individuazione della causa? E’ una bella domanda.

(Mauro Magnani)