In altri tempi sarebbe stata la “regola” il profetico proverbio Aprile ogni giorno un barile al pari di altri appartenenti al genere meteo-agricolo di un tempo che fu che citavano i mesi dell’anno, come Maggio rosato-mese profumato, Giugno-con la falce in pugno, Luglio trebbiatore-quanta grazia del Signore, ecc.
In tempi come gli attuali invece, dove il global warming la fa da padrone nessuno si è meravigliato tanto dell’inesattezza temporale di un proverbio dei nostri nonni tanto di alcune “allerta meteo” inerenti l’intensità e la durata di un fenomeno di maltempo che dal pomeriggio del primo maggio (per 36 ore ininterrotte) ha interessato le province di Ravenna, Forlì/Cesena ed in parte quella di Bologna provocando, malgrado l’assenza di fenomeni temporaleschi di forte intensità, disagi e purtroppo due vittime.
Acqua a catinelle perciò, a doppiare e localmente triplicare i valori medi mensili registrati dalle stazioni meteo nelle tre fasce monitorate, (bassa pianura-pianura pedecollinare-fascia pianeggiante pedecollinare) con il picco delle precipitazioni raggiunto, secondo Arpae – Agenzia regionale per la prevenzione ambiente e energia dell’Emilia-Romagna -, a Casola Valsenio dove in 36 ore di pioggia ne è caduta quanta ne cade nel totale dei mesi del periodo primaverile, ovvero ben 237 mm.
La conta dei danni si farà perché nelle località colpite dall’evento ancora in queste ore si vive in emergenza, ma la domanda è questa: a prescindere dalla priorità di fare sempre il possibile per prevenire la perdita di vite umane, si poteva gestire meglio e senza i disagi che stiamo vivendo una criticità meteo annunciata?
Il dubbio su chi si occupa di gestire le emergenze è legittimo ed interessa la capacità cognitiva, che non è quoziente di intelligenza (IQ), dei responsabili a cui tanto manchi la capacità di imparare dalle criticità del passato quanto manchi la abilità di trattare informazioni al volo, sbagliando così a combinarle questo forse perché non “allenati” a pensare, col risultato di lasciarsi condurre da altri che semmai possono pensare che se tutto andasse bene, si potrebbero considerare geni, mentre se le cose si mettessero male (come sta succedendo in queste ore) la colpa sarebbe poi sempre del meteo impazzito, delle risorse che mancano o del fato.
Il ricordo va alle due vittime che all’oggi in Romagna si contano, come d’altronde al recente passato dove una pioggia ha devastato e ucciso i tre quarti di quella famiglia genovese che è stata spazzata via in una normale giornata autunnale da un acquazzone in pieno giorno, in piena città e al riparo nell’androne di un palazzo.
Gli esperti in materia hanno per anni ripetuto (invano) fino alla noia che non ci sarebbe bisogno di grandi e costose opere per evitare i disastri meteo-climatici, basterebbero interventi semplici e poco onerosi come quello di tenere pulito fiumi e torrenti, quello di fare gli scolmatori e i canali che servono a ridurre la portata delle piene e quello di non costruire dove non si può, coinvolgendo enti di ricerca ed università per evitare i rischi idrogeologici a prevenire disagi di una prevalenza di episodi di bassa intensità ma prolungati nel tempo proprio come è successo proprio qualche giorno fa.
I due-tre giorni di pioggia hanno fatto straripare (o esondare) i torrenti e l’acqua limacciosa ha finora invaso solo qualche quartiere, alcune piazze e qualche abitazione, ma già si addebitano le colpe alla Protezione Civile e al (mancato) riassetto idrogeologico promesso dalle amministrazioni in campagna elettorale. D’altronde quando la pioggia rinforza ogni rigagnolo e si tramuta in una spinta devastatrice ci si rimbocca sì le maniche e si cerca di limitare i danni, ma poi fa anche (ri) affiorare la rabbia per quanto poco sono servite tutte quelle informazioni che parlavano genericamente di “allerte meteo” e tutte quelle rubriche che avvisavano sul conseguente traffico difficoltoso.
(Giuseppe Vassura)