«Nonno, come andiamo oggi? Abbiamo dormito stanotte?» Chiamo tutti nonno qui, alla casa di riposo.

Mi guarda assente. È il suo vicino di letto che mi risponde.

«Macché dormito! Stanotte è andato fuori di testa!» Ridacchia sotto i baffi, come se ne fosse quasi contento. Qui dentro sono tutti un po’ fuori di testa. Gli faccio segno di star zitto.

«Cosa avete combinato nonno, me lo volete raccontare?»

«Glielo dico io cos’ha combinato! Prima vedeva una luce, così diceva, poi ha cominciato a gridare: al fuoco, al fuoco! Si è alzato dal letto da solo! É andato alla finestra e, senza usare la corda, teneva alzata la tapparella con le mani, e gridava: saltate giù, mettetevi in salvo! Ah, che ridere, un bel film, se non veniva la donna di turno avrebbe cercato di buttarsi giù!»

«Non si canzonano gli altri, siete proprio incorreggibile! Lei pure, che non dorme mai, ci trova del divertimento. Nonno, nonno, non dia retta, è stanco stamattina?»

«Con tutta la fatica che ha fatto, ha salvato tutto l’ospedale, sarà sfinito!» Il pettegolo non riusciva a tacere.

Lo fulmino con lo sguardo e lui si gira dall’altra parte. Ha perso una gamba in un incidente e, in effetti, è l’unico del reparto che non ha problemi con la memoria. Si compiace di ciò e per questo si prende gioco degli altri.

«Nonno, buongiorno!» Aveva sgranato quegli occhi cerulei. L’azzurro della pupilla ormai si confonde con il bianco. É il paziente più vecchio del ricovero. Non vive nel presente, ma ogni tanto ricorda fatti di un passato lontanissimo, a volte ci racconta della sua nonna: cose di metà Ottocento! Lucido per quanto riguarda il passato remoto, nebbia assoluta sulle cose accadute ieri. «Nonno, c’era il fuoco stanotte, l’avete visto? Che paura avrete avuto!» Voglio che si alzi dal letto e, se lo stimolo, in genere reagisce.

«C’era un incendio, le fiamme erano alte, ho cercato di mettere il salvo la bambina!»

«Ma quale bambina…» mugugna l’altro, senza girarsi.

«Davvero nonno, siete un uomo coraggioso, come pochi qui…» Metto un po’ di ironia nelle mie parole mentre guardo verso l’altro letto. Il compagno di stanza, allora, con un certo disappunto, si muove e si siede in poltrona, senza chiedermi aiuto, come invece fa di solito con insistenza. L’operazione deve essergli costata molta fatica: lo vedo dall’espressione di dolore che, con orgoglio, cerca di nascondere.

Il nonno, invece, è rimasto al suo incendio: «Ho dato l’allarme, ho chiamato aiuto, ho coperto la bambina con la pedana! Io sono un pompiere!»

Foto di David Mark da Pixabay

«Davvero, nonno, una volta era pompiere?» Mi guarda, senza battere ciglio, ma non è me che vede. Sarò quella bambina, forse, che stanotte ha cercato di salvare dalle fiamme, perché poco dopo, i suoi occhi si inumidiscono e gli tremano le labbra.

«Una volta… una volta… ero pompiere, eravamo tutti volontari, quando suonavano le campane si prendeva l’elmo e si andava all’adunata in piazza. Il fuoco… il fuoco è terribile, brucia tutto e poi le case crollano… come nei terremoti.» Ero riuscita, intanto, a metterlo seduto sul letto senza che si lamentasse.

«I terremoti! Che paura mi fanno nonno! Forza che ci togliamo la camicia!» Era davvero tutto sudato. «Ma da queste parti, negli ultimi decenni, non è tirato il terremoto, vero nonno?»

«Qui no, io non ricordo… ma sono stato ad aiutare i terremotati di Messina.»

«Davvero, sta parlando di quel famoso terremoto che la distrusse?»

«Il terremoto di Messina: di quello parlo. Ero giovane, mia madre non voleva che partissi, ma io, insieme ad un amico, mi aggregai ad un reparto militare. Che disastro! Vedemmo una città spaccata in due, case distrutte, la gente disperata che scavava con le mani. Noi si faceva quel che si poteva per aiutare. I bambini avevano fame e paura!» Lo sto asciugando ma lui mi allontana la mano, quasi con stizza: non vuole perdere il filo dei suoi ricordi.

«Ma quel mio amico, quello che era mio amico… » si tiene la testa con le mani come per spremerla «trovò un sacco di soldi e oro, sotto le macerie, e li tenne per sé, li nascose! Io non ebbi il coraggio di denunciarlo. Al ritorno mi voleva convincere a investire con lui quei soldi, voleva mettere in piedi una società, ero l’unico che sapeva, mi voleva tener buono. Ero giovane, ma non accettai. Avevo bisogno di soldi, avevo bisogno di lavorare e il lavoro non c’era per nessuno. Mia madre mi dava del pazzo. Non sapeva! Fui costretto a lavorare nella sua ditta. Ho fatto il muratore per lui per anni. Mi sono rotto la schiena… ma io, io non faccio società con un ladro.»

Finalmente si siede spossato. Sospira e ansima per la fatica; poi, indicando il letto, mi chiede se lì sotto c’è il suo elmetto.

Il compagno di stanza allora si gira verso di lui, non mi lascia il tempo di rispondere, e gentilmente: «Stai tranquillo, ce l’ho io. Mangia adesso, dopo te lo do.»

(Roberta Giacometti)