Uno dei più importanti fondamenti su cui si basa una società multirazziale come quella francese-inglese o dell’America Latina è quello della tolleranza, dove si deve riflettere e decidere per essere pronti a tutto così come poter escludere a priori certe cose che per la maggioranza della gente sono intollerabili.

Scoetà multirazziale (Foto di Leejoann da Pixabay)

La nostra società ha finora visto nel “sociale” l’ottima l’integrazione di badanti e colf che ha ben viaggiato di pari passo con il mondo produttivo della piccola e media industria dove i migranti hanno “sostituito” gli italiani in tante mansioni fino a diventare qualificata (e preziosa) manodopera.

Non è stato così su alcuni aspetti del culto multireligioso che, sebbene sia importante per conservare la memoria di identità e tradizioni, è stato mal gestito dai leader (sopratutto musulmani) che a volte hanno faticato ad interagire sia con gli altri capi religiosi sia con le istituzioni, questo per colpa di strumenti e cultura locali che spesso hanno latitato.

Ad ovviare ciò un aiuto potrebbe arrivare dalla scuola che potrebbe promuovere l’insegnamento delle diverse fedi, d’altronde siamo tutti “figli” (anche) del politeismo greco e di altri monoteismi, ponendo così l’attenzione sul sapere delle religioni e non “della religione” ossia di quelle di altre nate in altri contesti storici, sopratutto a beneficio della tolleranza tra future generazioni di studenti futuri cittadini.

Così sarebbe molto utile saperne dell’Ebraismo così come dell’Islam o dell’Induismo o studiare il politeismo che accetta di accogliere altre divinità di altre culture nella propria, così a sponsorizzare reciproca comprensione anziché dar peso a ciò che oggi si sussurra dalle nostre parti sulle sospette concessioni politiche ai musulmani o le richieste di perdono da parte del Papa riguardo le crociate.

L’Occidente con le sue merci, la sua tecnologia e la pretesa di democraticizzare le religioni (Islam) ed il Cristianesimo come unico baluardo contro il medioevo della sharia e del velo obbligatorio per le donne, hanno finora preferito “non vedere e non sentire” ribaltando la versione del pacifismo cristiano e consigliando di imbracciare le armi contro il rischio di una (ipotetica) sottomissione all’Islam e in difesa della fede in uno scontro di civiltà assurdo, al di là di far comprendere invece quel “nulla” che può succedere nella vita quotidiana di un cittadino se prevalga l’una o l’altra religione.

Per ora tante delle iniziative legislative volte a dotare il nostro Paese di intese specifiche sulla libertà di fede a favore di altre confessioni religiose (testimoni di Geova, buddisti, mormoni, ecc.) sono fallite o sono state approvate senza estendere vantaggi tangibili a queste o altre minoranze religiose, soprattutto islamiche e ortodosse, ciò (forse) col timore che un futuro “mercato” religioso più libero creerebbe più guai di quanti ne possa fare quello attuale.

Per qualche scettico la selva di problemi abituali che prima o poi interesserà ogni società meticcia, quale diventerà quella italiana, assomiglierà tanto a quella in dote alla città di Gerusalemme “sposa contesa” spiritualmente e materialmente, con indicazioni topografiche distinte per colori per il quartiere ebraico, per quello musulmano o per quello armeno, dove per le vie si parla in arabo ed ebraico, in greco e armeno, in russo e inglese, dove si prega e si discute in quindici lingue e sette alfabeti differenti e dove è sempre stato difficile trovare accordi politici e religiosi. Ma anche dove paradossalmente ci si sente al sicuro, al riparo dell’augurio implicito presente nel nome ebraico della città, Jerushalaim, che allude a “shalom” ovvero pace.

(Giuseppe Vassura)