Il Napoli ha vinto lo scudetto: complimenti alla squadra, orgoglio di una bellissima città e al suo allenatore Luciano Spalletti, uno dei molti “mister” toscani che operano nelle serie A italiana, segno forse di un marchio di fabbrica all’origine.
Il tifo sportivo conta sempre di più nella cultura e nei riti della nostra civiltà. L’attenzione dei media e la reazione di massa di fronte ad eventi come la vittoria del campionato del mondo da parte dell’Argentina e lo scudetto da parte del Napoli non lasciano dubbi in proposito.
La passione sportiva è innanzitutto un bene relazionale, soddisfa il bisogno di appartenenza, è una festa che nasce dal condividere una gioia con tutta la tribù che condivide il nostro stesso sentire.
La passione sportiva è inoltre una fonte straordinaria di carica agonistica.
La vita ci pone di fronte a sfide e prove difficili e richiede il massimo del nostro impegno ed energie. L’immedesimazione nell’impegno agonistico di giovani atleti ci fornisce la carica necessaria per poter giocare la nostra partita quotidiana con lo stesso vigore e motivazione.
L’etica sportiva è il messaggio laico più potente sull’importanza delle virtù in un mondo dove i piaceri effimeri disponibili in rete rendono più difficile per le nuove generazioni cogliere la differenza sostanziale tra i “beni di comfort” (che danno piacere a breve, ma creano dipendenze negli eccessi) e i “beni di stimolo”, come la conoscenza di una lingua, una competenza, un’abilità sportiva, la formazione spirituale, che richiedono sforzo ed impegno prima di poter essere goduti, ma poi danno possibilità di fruizione e soddisfazione di lungo periodo.
Si può prendere il bello e minimizzare il brutto della passione sportiva?
Una via è senz’altro quella di investire nel nostro senso di sportività e nella capacità di gioire anche per i successi di altri, sebbene sia difficile farlo proprio per le squadre con le quali la rivalità è più accesa.
Abbiamo bisogno di più “terzi tempi” (la stretta di mano cavalleresca tra avversari alla fine delle partite di rugby) e condivisioni di gioie altrui, per evitare che il bello della passione sportiva debordi in direzioni dolorose e indesiderate.
Dobbiamo farlo perché la passione sportiva è un deposito di memoria ed affetti. Noi ragazzi degli anni ‘60 siamo come bambini di fronte ad un negozio di giocattoli per le possibilità che il web ci offre. Ma non possiamo dimenticare che il gioco costitutivo della nostra infanzia e della nostra vita è stato tirare calci ad un pallone, ovunque possibile farlo.
Come ci ricorda il poeta Dylan Thomas, “La palla che lanciai giocando nel parco non è ancora scesa al suolo” (da Twenty-Five Poems, 1936): la passione che ci fa provare il tifo sportivo possa essere un parametro per tutte le sfide della nostra vita.
(Tiziano Conti)