Carissimo Giannino, c’è la festa di paese a Fiorenzello. Verrete? Non vedo l’ora. La vita è vuota senza di voi. Vi penso sempre e quando penso che vi vedrò, non riesco quasi a prender sonno quando mi corico. Vi voglio bene, tanto. Non sapete quanto! Più che al mi babbo e alla mi mamma! Vi abbraccio forte. Vostra Maria”.

Giannino era il bello del paese. Aveva 18 anni e lavorava come apprendista calzolaio a Tramezzo. Tutte le ragazzette dei dintorni gli stavano dietro. Ma era fidanzato con la Maria. Si erano conosciuti nelle feste paesane dei dintorni, molto frequentate. Occasioni di socializzazione, ritrovo, nuovi incontri e corteggiamenti per i giovani in età da morosa. Nei periodi in cui non riuscivano a vedersi Giannino e la Maria si scrivevano lettere brevi e appassionate. Giannino, che non sapeva leggere né scrivere, per la sua corrispondenza amorosa, veniva da mia madre. Ultima di cinque sorelle, era la sola in paese, ad aver frequentato le prime tre classi della scuola elementare.

Le Fedi (Foto di Pexels da Pixabay)

Maria carissima, sapeste come anche voi mi mancate! Tantissimo! Non vedo l’ora di vedervi e di abbracciarvi. Verrò a Fiorenzello alla festa. Sicuro! Verrò col mulo. Lo faccio riposare apposta perché sia fresco per il viaggio. Vi penso di molto anche io. Quando vi penso mi viene un frizzo che non so cosa fare. Se foste qui! Pazientate fino allora. Vedrete che festa! Con tutto il mio bene, Vostro innamorato, Giannino”.

Quando arrivava il postino una volta alla settimana, era un evento. Tutta la corrispondenza passava da casa nostra. Mia madre conosceva gli affari, le vicende, le gioie e i dolori di tutti. Era il centro delle informazioni e del pettegolezzo. Inevitabile.

Bussarono alla porta. Era la perpetua. Arrivava furtiva con lo scialle sul capo per dare meno nell’occhio. Si era perdutamente invaghita di Giannino, più giovane di lei di qualche anno. U
n sogno romantico per cui covava speranze.
Aveva stretto un patto segreto con mia madre per farsi raccontare il contenuto delle lettere fra i due innamorati. Ogni volta se ne andava delusa ma non demordeva.
Confidava nella Grazia del Signore.

Quando noi bambini la coglievamo sul fatto, ci nascondevamo dietro la porta della cucina per spiare le conversazioni. Sghignazzavamo maliziosi divertendoci a imitarne i lamenti e le implorazioni. Mia madre la consolava coi suoi modi lenti e flemmatici quasi monocordi. Era un divertimento. Non se ne andava fino a quando non le prometteva che l’avrebbe informata sulle comunicazioni successive.

Un giorno mio padre mi chiamò. Bisognava preparare una “Tamblèda”. Era il segnale di una festa imminente. Usava così quando qualcuno si sposava. Il mulo carico di pentole e coperchi percorreva avanti e indietro il viottolo del paese per un bel po’. Noi dietro picchiavamo il pentolame con cucchiai di legno e bastoni saltellando allegri. Un fracasso infernale che risuonava per tutta la valle. Era l’invito alle nozze per gli abitanti dei paesi vicini. Se la Tamblèda riusciva, il giorno dopo accorrevano in tanti.

Giannino si sposava con la Maria. La perpetua dovette assistere alla cerimonia con rassegnata sofferenza. E felicitarsi dell’evento. Non si fece vedere in giro per giorni.

(Virna Gioiellieri)