Chi mi conosce sa che non sono un tecnico, bensì un ricercatore appassionato della storia del nostro territorio: ebbene, dopo l’interesse che il recente articolo sulle piene del Santerno ha suscitato, mi sono state fornite nuove interessanti documentazioni e considerazioni da parte di studiosi della materia.
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In particolare, sono di grande rilievo gli scritti fornitimi dal nostro conterraneo Gian Battista Vai, nativo di Tossignano ed amante del territorio e della Valle del Santerno, già professore di Geologia stratigrafica e direttore del Museo geologico Giovanni Capellini presso l’Università di Bologna: lo ringrazio per il materiale fornitomi che offre interessanti spunti di riflessione.
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Gli studi e le avvertenze del professor Vai sulle alluvioni e sulle frane
Si tratta in particolare di uno scritto in occasione di un convegno della Protezione Civile su “Previsione e Prevenzione” tenutosi a Castel del Rio l’8 novembre 1986, di un suo intervento che si trova negli “Atti” de1 Convegno Gipiesse tenutosi il 17–19 ottobre 2014 a Tossignano, di articoli apparsi sul “Nuovo Diario” in quella occasione, in cui vi fu una grande piena.
Viene da pensare al mito dell’inascoltata Cassandra: perché quanto oggi accaduto era prevedibile, se non previsto, ed erano stati a suo tempo indicati possibili interventi, di fatto realizzati per nulla o solo in minima parte.
Già nel 1986 Vai metteva in guardia dai rischi idrogeologici, aggravatisi nel dopoguerra: “E’ particolarmente caratteristica la serie di piene a cadenza secolare che avvengono in Regione… Potremmo illuderci di avere un settantennio di respiro, ma gli eventi di diversa ricorrenza dovrebbero indurci a cautela.”, così scriveva.
Vari fattori hanno accentuato il rischio, tra cui le escavazioni industriali di inerti.
Elencava poi le piene “storiche” della valle del Santerno: 13 settembre 1557, luglio-ottobre 1654, settembre-novembre 1851, 16 aprile 1950; altra volta ha citato “quella paurosa del 1756 che è all’origine della Festa Votiva del Borgo, celebrata solennemente ancor oggi”: a Borgo Tossignano la festa votiva della Beata Vergine del Buon Consiglio viene celebrata la terza domenica di ottobre, tale festa nacque per ringraziare la Madonna per l’aiuto che diede ai borghigiani durante lo straripamento del Santerno avvenuto il 13 ottobre 1756.
Altre piene “minori” sono avvenute a distanza di pochi decenni l’una dall’altra, anch’esse causando danni.
Dunque, le “grandi” piene sono sempre avvenute, finora a cadenza secolare, ma evidentemente l’odierno cambiamento climatico sta accelerando i tempi.
Di seguito Vai trattava del rischio frane, che “sono senza dubbio più frequenti, sia a livello temporale che spaziale, di quanto non appaia, non si ricordi, o non si pensi di sapere”; è allegata una carta con alcune decine di frane, seguita dalla considerazione che “Già a prima vista appare che il pericolo di frane che ostruiscano o interrompano la principale direttrice viaria e alcune secondarie non è affatto basso”.
Parlava di rischio frane a Fontanelice, alla Maddalena, a Campiuno… poi concludeva: “E’ doveroso sensibilizzare le popolazioni e gli enti per imparare a convivere coi pericoli nella prospettiva di prevenirne o mitigarne i rischi. Per fare questo, però occorre… l’aspirazione di arrivare a prevederli. Occorre cioè fare molta ricerca di base, finalizzata e applicata.” Si chiude con un richiamo agli enti politici nazionali e locali che hanno “il compito di finanziare la ricerca con finanziamenti adeguati, che saranno certamente produttivi.”
In definitiva, si tratta di privilegiare la prevenzione. Dove si è sbagliato e cosa si potrebbe fare? Erano più saggi gli antichi? Che dire o pensare di fronte a tali affermazioni del 1986?
Uno studi approfondito sulle piene del Santerno
Bene, anni dopo Vai ha dedicato uno approfondito studio alle piene del Santerno degli anni 1937, 1966 e 2014, lamentando in primo luogo come si sia indebolito il sistema dei servizi di misura delle acque dei fiumi, fatto che ha impedito di avere piena consapevolezza della realtà, ancor più difficoltosa di fronte alla “miriade di enti in tema di controllo e tutela del territorio” che causa confusione ed incertezza. Così, dopo le piene possiamo solo fare valutazioni riguardo i danni alle opere, invece della necessaria prevenzione.
Vai inoltre lamentava come la progettazione delle moderne opere non abbiano talora tenuto conto delle massime piene “storiche” e dei tronchi che tali piene trasportano, osservando come “Nessuno di questi progettisti ha notato che i soli ponti antichi che abbiano resistito alle piene almeno dal Medioevo su Santerno e Senio sono ponti ad arco con grande luce, come quello Alidosi presso Castel del Rio o quello sul Senio a Palazzuolo.” (a tre arcate a schiena d’asino, purtroppo non più esistente in quanto fatto saltare dai tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale).
Vai forniva quindi numerosi suggerimenti sia sulle modalità costruttive dei ponti e dei manufatti, sia sul taglio o meno degli alberi, che, a quanto ne ho capito, andrebbe deciso caso per caso a seconda della natura dei vari territori e tratti di fiume. Con pochi risultati concreti, purtroppo: ”E se il geologo solerte metteva in guardia, il messaggio entrava da un orecchio e usciva dall’altro, fossero cittadini, tecnici, o amministratori.”
Quando 17 ottobre 2014 nel convegno al Palazzo Baronale di Tossignano Vai ha mostrato una foto dell’addizione postbellica di Imola verso Sud Est (area lungo fiume) qualificandola come a rischio di inondazione secolare, “tutti sono trasaliti, a partire, in incognito, dal sindaco di Faenza, esclusi i geologi che il 20 giugno 2014 erano al seminario di Borgo Tossignano. Loro si erano ricordati quanto avevo detto e scritto tante volte, almeno a partire dagli anni 1980.”
Nel tempo, dal Genio Civile fino ai tanti altri enti, si sono affermate politiche di “privatizzazione o “cessione” di molte aree demaniali golenali o di terrazzo fluviale di sponda d’alveo e la tendenza all’urbanizzazione industriale o residenziale di aree che nel 1950 erano ancora sede d’alveo, di alluvionamento o di esondazione frequente con i conseguenti rischi.
Dei quali magari i cittadini di oggi non sono consapevoli.
Le profezie
Vai diceva “Non ero né profeta né mago”, semplicemente occorre studiare la natura e tenerne conto per gli interventi umani. “I danni sono più visibili e mediatizzati perché è aumentata la vulnerabilità per colpa nostra, dalle autorità ai cittadini… i fiumi esonderanno sempre più spesso… i lembi di terrazzi bassi, che un tempo ospitavano il greto del fiume e oggi sono sede di manufatti, capannoni, insediamenti, infrastrutture e coltivazioni agrarie, verranno progressivamente inondati e rioccupati dal fiume.”
“Quale è il segreto di queste previsioni sostanzialmente azzeccate per il passato recente e che probabilmente si verificheranno nel prossimo futuro? Abbinare scienza e storia, nel caso specifico geologia e geomorfologia con cartografia storica sia artistica che tecnica, prelevata da archivi, collezioni e musei, utilizzando una specifica sensibilità e mentalità geologica. Senza memoria, senza passato, e senza musei e collezioni (con buona pace di Francis Bacon), non c’è prospettiva di capire il presente e prevedere il futuro (specialmente quando sia progettato in termini ideologici o fideistici… La lacuna maggiore appare essere la mancata considerazione della storia passata delle grandi piene, lontane e vicine, e dei loro parametri fondamentali, soprattutto quelli delle portate al colmo.”
Il messaggio mi pare estremamente chiaro.
La cartografia storica e la situazione a Faenza
Del resto, se si studiano le carte, a partire dalla mappa di Leonardo, poi quella dell’abate Antonio Ferri del 1705, fino alle recenti Carte geologiche, si possono comprendere molte cose e decidere magari di costruire in altro modo (prevenzione attiva, deviando torrenti e non coprendoli con strade) o non costruendo affatto in quel sito (prevenzione passiva).
Vai infine suggeriva tecniche di monitoraggio, costruttive, per le casse di espansione, bacini e così via che sarebbe troppo lungo qui elencare.
Dal citato Nuovo Diario: “La prima ‘esplosione’ delle fognature a Faenza fu il 20 settembre, quando le piogge eccezionali portarono diversi fiumi della Romagna a superare gli argini. Tre settimane dopo il replay: il fenomeno meteorologico fu di minore ma le fognature ancora una volta non ressero. Ma il territorio faentino già in primavera aveva subito frane ed allagamenti.”
L’allora sindaco di faenza Malpezzi dichiarava: “C’è un fattore strutturale: abbiamo assistito all’innalzamento della falda. Una serie di abitazioni costruite nei livelli più bassi della città si trovano così con la falda al livello delle cantine. Questo, al di là del problema della tracimazione delle fogne, che non deve succedere e chi le gestisce deve far sì che non succeda.”
Purtroppo, a Faenza è successo di nuovo oggi in forma ben più grave del 2014!
Conclusioni
Vai fu chiaro: “La storia è maestra di vita, ancor più se letta con gli occhi della scienza, che non sa predire l’anno del disastro, ma indica una probabilità in tempi di ricorrenza.”
“Avremo l’ardire di ripensare le nostre città e l’uso del territorio in maniera veramente sostenibile e programmata nel lungo termine e con ottica dinamica e interdisciplinare?”
“Speriamo che ora si convincano.”
Ci piace chiudere così, in questo 2023, con le parole di Vai nel 2014.
(Marco Pelliconi – Valerio Zanotti)