L’eccessivo consumo di suolo in Emilia-Romagna certificato da Ispra e la recente alluvione hanno evidenziato la fragilità idrogeologica del territorio regionale.

Dovrebbe essere ormai chiaro a tutti che i fenomeni meteo estremi provocati dal riscaldamento globale, sempre più frequenti, ci impongono di rivedere le politiche di gestione del territorio per favorirne la resilienza e non l’ulteriore infragilimento. Con i cambiamenti climatici dobbiamo fare i conti con determinazione: servono politiche di adattamento per meglio affrontare le conseguenze e di mitigazione per ridurre drasticamente le emissioni di gas serra. L’unica cosa che non si può fare è continuare a comportarci come se niente fosse.  Che senso ha, ad esempio, insistere con attività estrattive in zone di pregio naturalistico e paesaggistico? Mi riferisco al Parco della Vena del Gesso Romagnola, insidiato dalle attività estrattive in corso da decenni nel Polo Unico regionale del gesso di Monte Tondo, in provincia di Ravenna. Ha tutte le caratteristiche per poter diventare un museo a cielo aperto unico al mondo, ma c’è chi spinge per far prevalere interessi economici rispetto a quelli ambientali e collettivi.

Da mesi raccolgo e porto in Regione – in forma di interrogazioni – le preoccupazioni espresse dalla Federazione Speleologica Regionale e dalle associazioni ambientaliste. L’ultima, di pochi giorni fa, l’ho depositata per chiedere quale sia la posizione della giunta regionale sulla proposta di Piano Territoriale del Parco della Vena del Gesso Romagnola, con riferimento all’assenza di una precisa indicazione temporale sulla cessazione dell’attività estrattiva nel polo di Monte Tondo.

La proposta del Piano territoriale è propedeutica alla definizione del nuovo Piae (Piano infraregionale attività estrattive). È quindi uno strumento molto importante per la gestione di questo ambiente naturale unico al mondo e candidato a diventare Patrimonio Mondiale dell’Unesco. La criticità ambientale rappresentata dalla presenza della cava all’interno della Vena del Gesso non viene negata dagli estensori del Piano territoriale che, anzi, sottolineano che “i sistemi carsici gessosi alterati dall’attività di cava sono tra i maggiori non soltanto della Vena del Gesso, ma dell’intera Unione Europea”. Tuttavia, nell’elencare le diverse grotte (tutte candidate a Patrimonio Mondiale dell’Umanità Unesco) “direttamente intercettate dall’attività di cava con pesanti ripercussioni sull’idrologia sotterranea e di superficie”, e di quelle “non direttamente intercettate ma che hanno comunque subito alterazioni dell’idrologia sotterranea”, l’Ente Parchi non prende posizione circa le azioni da intraprendere per tutelarle, e propone di inserire tutte le cavità in questione entro l’area B soggetta a tutela solo dopo che verranno interrotte le attività estrattive. Noi proponiamo di fare il contrario: stop estrazioni, tutela immediata del patrimonio naturalistico che, diversamente, rischia di essere compromesso irrimediabilmente.

L’indicazione di avvio della tutela solo dopo che saranno cessate le estrazioni recepisce – casualmente? – una delle osservazioni al Piano presentate dalla multinazionale Saint Gobain, il soggetto che svolge l’attività estrattiva. Per gli speleologi la mancata indicazione di una precisa tempistica per la cessazione dell’attività estrattiva apre la strada all’ampliamento della cava con la conseguenza di aggravare l’impatto delle attività estrattive e di compromettere la candidatura a patrimonio Unesco.

Inoltre, nel Piano territoriale lo studio commissionato e finanziato dalla Regione Emilia-Romagna nel 2020 viene solo citato senza riportarne le conclusioni, tanto meno senza evidenziare lo “scenario B” di tale studio che prevedeva di contenere l’area di estrazione del gesso entro i confini del vigente Piae e che invitava a considerare il nuovo periodo di attività concedibile (non superiore a dieci anni) come l’ultimo possibile. Tale scenario B era quello ritenuto condivisibile sia dalla Regione, sia dalla Federazione Speleologica dell’Emilia-Romagna e dalle associazioni ambientaliste. Anche la Provincia di Ravenna, nell’esprimersi a metà maggio sulla Proposta di Variante al Piae, ha individuato nello scenario B “l’unico che, stante il ruolo pianificatore della provincia e considerato l’attuale quadro normativo e di zonizzazione così come definito dalla Rete Natura 2000, può essere preso in considerazione, valutando le competenti ambientali, paesaggistiche e socio-economiche coinvolte”.

Ora sarà tanto più interessante la risposta della Giunta regionale alla mia (settima) interrogazione.

La partita del Piae non è chiusa: c’è tempo fino al 23 luglio per presentare osservazioni al “Piae Monte Tondo”. Continuiamo a tenere alta l’attenzione, la battaglia per il Parco della Vena del gesso Romagnola continua.

(Silvia Zamboni, Capogruppo di Europa Verde e vicepresidente dell’Assemblea legislativa Emilia-Romagna)