“Denti da squalo”, oltre ad essere l’esordio cinematografico di Davide Gentile, è un film estivo che galleggia sui toni fiabeschi per raccontare lo scontro tra un bambino ed il mondo criminale della periferia romana.
Walter, il bambino, è interpretato dal giovanissimo Tiziano Menichelli, che delizia con la sua intimità ed espressività nel trasmettere il contrasto emotivo tra il voler trovare sé stessi e la fascinazione dell’essere qualcun altro.
Il viaggio di Walter si divide tra Carlo (Stefano Rosci), un adolescente con cui stringe un importante rapporto di amicizia, e la madre (una Virginia Raffaele poco incisiva), scossa dalla recente perdita del marito e che non trova la chiave per rapportarsi al figlio.
Aleggia per tutto il film anche la figura del padre, morto dopo aver lasciato la criminalità per dedicarsi alla famiglia. Walter si confronta con lui in alcune visioni anche se, nonostante l’abilità di Claudio Santamaria, il personaggio non aggiunge molto alla trama.
Il film trova dunque la sua originalità in uno squalo che vive nella piscina della villa, che è teatro di quasi tutto il film. Il mammifero funge da elemento simbolico: rappresenta la paura che identifica il nemico e, in un finale spoglio e trascurato, la liberazione del proprio Io.
Nonostante i temi trattati, “Denti da squalo” non esalta la criminalità. Il percorso di Walter porta all’opposto: affermazione personale, svincolata dal contesto e dal fenomeno di imitazione della vita altrui.
Infine, è rilevante notare la presenza di Mainetti come produttore, di cui è evidente l’impronta in diversi aspetti del film: dai tecnicismi legati agli effetti speciali, allo stampo registico volto alla meraviglia.
“Denti da squalo” risulta perciò un tentativo insipido di insaporire il cinema italiano, di cui il gusto è oramai tanto assodato quanto stantio.
(Leonardo Ricci Lucchi)