Oggi è l’8 luglio 2023: giornata piuttosto afosa, inviterebbe ad andare al mare.
I telegiornali strombazzano dati di occupazione in salita, discreto afflusso ai saldi, mostrano senza alcun pudore e buon gusto, servizi di ricconi stramiliardari che pagano conti milionari in improbabili cene a cui sicuramente il popolino non può nemmeno guardare dal buco della serratura.
Ammesso che interessi.
Personalmente trovo queste notizie disgustose.

Alluvione (Foto Regione Emilia Romagna)

Scrivo dall’Emilia Romagna, dalla Romagna ferita, alluvionata, in ginocchio. Quella che ancora non ha ancora concluso di contare i danni, quella che ha appena iniziato.
Perché la Romagna piange, piange tutte le sue lacrime.
Quando piange la Romagna, non la senti, perché non vuole farsi sentire né vedere. Non cerca la commiserazione di nessuno.
E allora da cosa lo capisci che è in ginocchio? Perché le serrande sono abbassate, i bar sono chiusi , non c’è gente in giro. Le città sono vuote, quasi città fantasma. Le spiagge quasi.
Il Romagnolo non è al bar, non è a far festa o gardellate come avrebbe fatto in altri momenti.

E’ un’estate particolare questa. L’alluvione ci è entrata dentro. Ce l’abbiamo nei piedi, negli occhi, nelle gambe, nello stomaco, nel cervello. Solo il cuore resiste.
Abbiamo lacrime mute, asciugate in silenzio, parole non dette.
Ti si stringe il cuore a vedere il ponte di S. Agata e l’orologio fermatosi alle 3 di notte del 16 maggio, interi quartieri di Forlì che provano a sopravvivere alle macerie e al fango, via Garibaldi a Faenza quasi rasa al suolo, Conselice annegata, le colline crollate e case di parenti e amici travolte.
Qui ci sono sogni e vite distrutte.

Non avevo mai visto la mia terra così, in cinquant’anni. Non avevo ancora compreso la tempra di noi Romagnolacci fino ad ora.
Popolo accogliente, popolo di gran faticatori, popolo dal cuore immenso.
Ora però ci aspettiamo qualcosa dallo Stato: siete venuti a vedere, vi siete fatti le foto, avrete mangiato le tagliatelle forse.
Avete sorvolato, avete conteggiato, sono passati ormai due mesi… ora non veniteci a raccontare che non ci sono aiuti e che ci dobbiamo arrangiare. Le pale e il fango abbiamo iniziato a spalarle da subito, non ci siamo mai pianti addosso.
E gli aiuti sono arrivati dalla gente, da tutta l’Italia, e chi non poteva esserci fisicamente, si è fatto presente in altro modo.
Perché quasi tutti abbiamo un amico o un’amica romagnola o un bel ricordo di questa terra. Siamo persone semplici, siamo combattive, siamo il frutto della nostra lunga storia.
Adesso però tocca allo Stato esserci: e smettiamola di profondere belle parole perché tanto i Romagnoli si sanno rialzare.
Ora chiediamo di sentirci Italiani.

(Mirka Tabanelli)