C’è chi ritiene che per risanare un bene, un servizio o una infrastruttura rotti è indispensabile aggiustarli e se possibile punire il colpevole della negligenza.
Sebbene ciò possa ritenersi un problema secondario in confronto alla gravità di altri guai (disagio sociale, finanziario, etico-morale, ecc.) che possono colpire una comunità la riflessione è giusta, perché se ciò non avviene o latita per buonismo o indulgenza qualcun altro potrà approfittarne per “soprassedere” a compiere il proprio dovere ossia mantenere in buono stato un bene, un servizio o una infrastruttura.
In sostanza: l’indulgenza può creare danni collettivi devastanti e lasciare impunito chi prende a sassate una finestra rotta lasciata tale da chi (irresponsabilmente) non l’ha aggiustata.
La metafora della finestra rotta sta tornando di gran moda ora che l’alluvione ha colpito la Romagna perché passata la fase della “sopravvivenza” e dei decessi ci si sta interrogando sui tanti perché inerenti le evacuazioni, la paura e la conta dei danni e questo a prescindere dall’eccezionalità dei due eventi estremi di inizio e metà maggio che hanno ridotto il territorio romagnolo ad una immensa vasca di laminazione per un totale stimato di 80 milioni di metri cubi di acqua, fango e detriti.
L’iniziale diffusione in rete dei frutteti allagati, gli allevamenti zootecnici con le carcasse degli animali che galleggiavano nelle stalle e le intere zone artigianali bloccate dal limo fangoso di fiumi, torrenti e canali di scolo esondati o straripati, ha fatto posto successivamente alla condivisione social di ciò che la gente ha fatto (e visto) spalando il fango a casa di altri più sfortunati che hanno perso tutto, rischiando pure di finire annegati, è da qui che sono affiorati i primi interrogativi sulle responsabilità e su chi avrebbe dovuto fare per almeno limitare i danni ed invece non ha fatto.
Troppo vicine le datazioni di altre catastrofi, causate da bombe d’acqua di portata inferiore, per restare in silenzio di fronte ad altri danni del genere (comprese le decine di vittime) e per non interrogarsi sull’inettitudine di amministratori locali che hanno permesso di costruire intere aree artigianali ed edifici nei letti dei fiumi non ascoltando gli avvertimenti di geologi ed ingegneri idraulici che puntavano il dito sulle incurie (o addirittura l’assenza) alle infrastrutture atte allo scolo e/o lo “stoccaggio” delle piene, al pari della noncuranza verso le regole basilari sulla manutenzione di argini e alvei fluviali così ad evitare frane, esondazioni e straripamenti nei centri abitati.
Dito puntato anche sulle lobby e gli interessi che a volte hanno intimorito le amministrazioni cittadine, a partire dalla figura del sindaco e a cascata fino ad altri enti come il genio civile o il corpo forestale, che senza un minimo di “ordine” hanno rinviato il da farsi fino al disastro successivo mentre sarebbe bastata una prevenzione che servirà ancor più in futuro per ripristinare autorità di bacino e presidi territoriali specializzati in geologia ed idraulica che in base all’allerta meteo controllino un territorio peraltro facilmente monitorabile grazie alle “intelligenze informatiche” in nostro possesso.
Punire gli amministratori responsabili di aver causato un dissesto è corretto perché questi sono compiti gestionali delicati in quanto ne va della sicurezza del territorio, di chi ci abita e ci lavora peraltro in una criticità da climate change, ecco perché gli incarichi vanno affidati alle persone giuste e non ad amministratori poco capaci o solo “lì” per ragioni di equilibri politici o di partito che non possono lasciar spazio ad altro, così facendo si rischia il pressapochismo e come spesso è successo la certezza di lasciare in eredità ai successori i guai da risolvere.
Spesso invece si assiste alla nomina di assessori o dirigenti incompetenti ma potentissimi membri di partito o anche solo di “corrente”, di amministratori di aziende sanitarie, o d’ambito agricolo-ambientale (come per il caso dell’alluvione in Romagna) privi dell’esperienza necessaria a prevenire questi guai e che non sono stati scelti sulla base delle capacità e del merito, un pericoloso e ricorrente paradosso questo del nostro Paese a cui meglio porre rimedio in fretta in quanto prima o poi al peso delle negligenze qualcuno si dovrà far carico, come d’altronde già successo per gli effetti di clamorosi errori nelle “scelte” (anche politiche) finite poi sul conto di tutti noi contribuenti.
(Giuseppe Vassura)