Con questa rubrica, sfruttando gli anniversari di alcune ricorrenze storiche, ripercorreremo le tappe principali che segnarono il passaggio dall’Italia liberale a quella fascista. Questa trasformazione, come si vedrà, avvenne con la più totale complicità ed accondiscendenza della Corona, che accettò ogni forma di soppressione dei diritti del proprio popolo.

La storia della seduta del 25 luglio 1943 (anche se sarebbe più corretto dire “del 24 e 25 luglio”) è ancora oggi avvolta dal mistero, soprattutto per assenza di verbale considerato autentico. Ci si deve basare quindi sulle sole testimonianze dei presenti, spesso contradditorie le une con le altre, ma anche tra lo stesso partecipante intervistato a distanza di anni; dichiarazioni spesso rilasciate a futura memoria per salvare se’ stessi da giudizi (di tribunale prima, storici poi).

Sta di fatto che con la guerra persa o quasi, fu chiesto al duce di riconvocare, a distanza di quattro anni dall’ultima seduta, il Gran Consiglio del Fascismo.

Ricordiamolo, il Gran Consiglio aveva la seguente funzione: “Il Gran Consiglio del Fascismo è l’organo supremo, che coordina e integra tutte le attività del Regime sorto dalla Rivoluzione dell’ottobre 1922. Esso ha funzioni deliberative nei casi stabiliti dalla legge, e dà, inoltre, parere su ogni altra questione politica, economica o sociale di interesse nazionale, sulla quale sia interrogato dal Capo del Governo”

In realtà il Gran Consiglio aveva nei fatti scarso potere (soprattutto dopo la creazione della Camera dei fasci e delle corporazioni) tanto che, come abbiamo visto, non veniva convocato da tempo.

L’attore principale della seduta iniziata alle 17 del 24 luglio e terminata alle prime ore del giorno del 25 è senza alcun dubbio Dino Grandi, al momento dei fatti Presidente della Camera e quindi membro del Gran Consiglio.

Iscritto ai Fasci da combattimento dal 23 novembre 1920 durante il ventennio aveva ricoperto alcune tra le cariche più importanti, quali il Ministro di grazia e giustizia e Ambasciatore a Londra.

Tornando alla seduta del 24 luglio, Grandi, che raccontò di essersi recato a Palazzo Venezia armato di due bombe a mano nascoste nelle tasche, fu il padre dell’ordine del giorno che depose Mussolini, o meglio, che permise a Vittorio Emanuele III di sostituirlo al Governo con Badoglio.

Questo il testo dell’ormai famoso ordine del giorno: coloro che votarono a favore dell’ordine del giorno furono successivamente condannati a morte dal Tribunale speciale della Repubblica di Salò nel cosiddetto “processo di Verona”, condanna che però si concretizzò solo per una piccola parte di questi, ossia quelli che furono arrestati e incarcerati, tra cui Galeazzo Ciano, genero di Mussolini.

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(Andrea Valentinotti)