Non è sufficiente avere raggiunto un’età (più o meno) adulta e consapevole per poter pensare di aver capito tutto sull’amore o comunque sulle mille mila sfaccettature della vita di relazione; beninteso, a 35 anni non mi reputo così ingenua da pensare solamente all’ amore come ingrediente per un “vissero felici e contenti” o per un “finchè morte non ci separi”: Tutt’altro.
Ho 35 anni, ma – seppur con una relazione duratura alle spalle – mi sembra di aver vissuto 10, 100 , 1000 vite.E questo, posso confermarlo, succede a gran parte delle mie più o meno coetanee. Tutta colpa di Mark Zuckerberg, di Facebook, di Instagram, di Tinder e del Metaverso, che hanno letteralmente fagocitato e rincretinito chiunque.
Il 2007, anno in cui Facebook sbarcò per la prima volta in Italia ,in qualità di social network a cui ci si poteva iscrivere solo previo “invito” da parte di un altro potenziale contatto, costituisce di fatto soltanto un preludio a qualcosa di molto più complesso.
Una rete (che sembra più una rete a strascico o una prigione a maglie fitte, di quelle usate per la pesca dei tonni in primavera-estate, che non ti lasciano scampo manco a piangere, per intenderci) fatta di cuori, meme con Barbie e glitter, gattini, imbarazzanti foto di fondoschiena corredati da improbabili e ridicole didascalie che riprendono citazioni poetiche che di fatto stonano palesemente col contesto, volti deturpati da filler e extension a ciglia, capelli , qualunque cosa “estendibile”, orizzonti storti e sfuocati, piatti di pasta, le vacanze degli annoiati influencer, sapienti usi di filtri, e potrei continuare all’infinito.
Sarebbe troppo bello per essere vero, però: ciò che mi sono limitata a elencare nelle righe precedenti è soltanto la parte visibile, la facciata, quello che c’è dietro a tutto questo continuo delirante mostrare le proprie insicurezze al mondo intero, per poi – alle volte – creare assurdi meccanismi psicologici secondo cui la superficialità di quanto postato possa di fatto suscitare sentimenti di profonda fragilità e inadeguatezza nell’utente, che scorre feed o stories dove viene ostentata una perfezione che di fatto non esiste, gettandolo in un loop di continua ricerca di qualcosa di estremamente improbabile.
Ciò potrebbe tranquillamente costituire l’oggetto di studio di antropologi, sociologi, psicologi o comunque di tutti coloro che si occupano di relazioni sociali, poiché molto spesso il passo da una richiesta di amicizia alla seduta settimanale dallo psicoterapeuta di turno non è breve, ma brevissimo.
Parafrasando la auto-domanda che la sex columnist Carrie Bradshaw, protagonista di Sex and the City, serie tv cult degli anni ’90, si pone nel primissimo episodio della prima stagione, come ci siamo finiti in questo pasticcio?
Si, perché di pasticcio si tratta: in una società dominata da una mordente crisi socio-economica, di fatto vengono a meno i valori, le sicurezze, la stabilità e l’equilibrio; la testa si affolla di pensieri, preoccupazioni, scadenze, dubbi , incertezze, e questo non ci permette di “staccare”, o meglio, convogliamo la nostra voglia di scollegarci dal mondo verso la direzione sbagliata , incollandoci agli schermi di smartphone, tablet o pc , alla smaniosa ricerca di qualcuno o qualcosa che sappia colmare i nostri vuoti, più o meno consci del fatto che in realtà – come spesso accade – le sensazioni negative ci rimangono incollate addosso come le mosche alla carta moschicida.
Ho da qualche anno passato i 30, la cosiddetta “età della ragione”, anche se di ragionevole di fatto c’è poco: l’aspettativa di vita si è allungata, e così le tempistiche con cui ci si stabilizza lavorativamente parlando, ci si sposa, si va a convivere e si fanno figli, ma non è questo il punto.
La quotidianità di noi 30enni è diventata noiosa, e si può tranquillamente dire che , davanti alla nostra voglia di normalità e sentirci ancora giovani (perché poi lo siamo), troviamo poche opportunità di equilibrio nelle nostre relazioni, e questo perché siamo vittime di dinamiche relazionali il più delle volte malate e incresciose, fatte di gaslightning, ghosting, orbiting, violenze psicologiche, vessazioni fisiche, maschi che non ti prendono sul serio (parlando da donna, ma deve esserci sicuramente una controparte), che mettono like a nastro a sconosciute e non sui social, che spesso a tua insaputa chattano o matchano su Tinder con altre, e che di fatto si inventano frottole pur di fare i loro comodi, e ultimo – ma non per importanza – il sexting (1).
Ascoltavo recentemente i racconti sconvolti di un’amica coetanea a riguardo. Desiderosa di una normalità che, a parer suo, non le apparteneva, è inciampata in uno dei classici meccanismi malati che ti fan saltare i nervi, ovvero l’essere vittima (più o meno consapevole) di sexting su una popolare piattaforma social.
Dopo aver incrociato un ragazzo fisicamente “ben piazzato” e interessante, ha finito per diventare la destinataria di messaggi da costui, che ben poco lasciavano all’immaginazione, dall’intento chiaro e forte, intervallati da momenti di sparizione, mancate risposte, silenzi improvvisi, interrotti poi da altri messaggi, like, foto, video provocanti e allusioni, nonché mancate risposte alla sua (legittima) richiesta di vedersi da parte di lui, che la evitava accuratamente ogni volta che, casualmente, la incontrava dal vivo.
Inutile dire che lei si sentisse sbagliata e inadeguata, anche di fronte a tutte le persone più o meno improbabili a cui lui metteva like a nastro (e forse anche a caso) mentre la ignorava; come Alice nel Paese delle Meraviglie – anche se qui di meraviglioso non c’è nulla – era piombata in un tunnel psicologico pericoloso, fatto di fissazioni e pensieri su cose povere di concretezza generale.
La nostra ricerca di concretezza non deve essere catalizzata nel metaverso, ma deve essere soddisfatta coltivando rapporti “veri”, cogliendo e accogliendo tutto il buono che c’è dalle situazioni, anche quelle negative; lo dice il buddismo, dottrina che sostiene la ciclicità della vita e di tutte le cose. E allora fidiamoci, anche del buddismo, e proviamo a pensare che anche questo delirio social possa presto placarsi, per permetterci di gettarci alle spalle paranoie e rapporti inutili e poveri di sostanza. Molto, non tutto, dipende da noi.
(Annalaura Matatia)
(1) Il termine sexting, derivato dalla fusione delle parole inglesi sex (sesso) e texting (inviare messaggi elettronici), è un neologismo utilizzato per indicare l’invio di messaggi, testi, video e/o immagini sessualmente espliciti, principalmente tramite il telefono cellulare o tramite internet.