Imola. Continua il nostro lavoro di approfondimento sulle figure degli Esperti tra pari o Esperti per esperienza (Esp) all’interno delle strutture sanitarie. Dopo l’ambito della salute mentale, affrontiamo con questa intervista a due voci quello delle unità spinali, in particolare l’esperienza che si sta compiendo all’Istituto di Montecatone – Ospedale di Riabilitazione.
Con noi Claudia Corsolini, coordinatrice del programma “Vita Indipendente”, e Angelo Dall’Ara, Esperto per esperienza.
Partiamo dagli inizi, quando ha preso il via questa esperienza?
C. Questa storia per noi comincia nel 2008-2009 e lo spunto è stata la ratifica della Convenzione internazionale sui diritti delle persone con disabilità. Nel momento in cui la legge italiana recepisce questo strumento internazionale, i ricoverati vengono considerati in primo luogo persone e non pazienti, o quantomeno non pazienti per sempre. Questa è stata la molla che ha dato il via alla sperimentazione al servizio di supporto alla pari. Abbiamo fatto per tre anni progetti di servizio civile come Fondazione Montecatone Onlus, cercando solo volontari in carrozzina, possibilmente ex pazienti di Montecatone. Il risultato ci ha incoraggiato a rendere più strutturata questa esperienza, che quindi fa parte dell’offerta di servizi della nostra Unità Spinale dal 2011.
Al di là della Convenzione esiste qualche materiale di riferimento?
C. Non è stato facile anche perché in italiano non c’è molta letteratura su queste figure, mentre esiste molto materiale in lingua inglese. Alla fine abbiamo scelto come riferimento i materiali prodotti dalla sezione italiana di ‘Disabled People International’ (www.dpitalia.org), che aveva fatto dei percorsi formativi sul supporto tra pari nella disabilità, da cui è stato tratto il Manuale Consulenza alla pari. Da vittime della storia a protagonisti della vita, che tuttora è il nostro riferimento anche se non è specificamente rivolto alla disabilità fisica o alla disabilità dovuta a lesioni midollari, tanto meno nella fase acuta.
Ed esperienze in altre realtà?
C. Guardando in giro, esperienza con persone come quelle che arrivano a Montecatone, per le quali in 24 ore è cambiata radicalmente la vita, ve n’erano poche, anche perchè normalmente le unità spinali presenti nelle varie regioni italiane (dove esistono) hanno un numero ridotto di posti letto, e quindi non riescono a strutturarsi come stiamo facendo noi che abbiamo una struttura più grande.
Ci siamo guardati attorno e abbiamo intrecciato la rete degli Esp della Salute mentale, scoprendo che tante cose sono simili, in particolare il tema del come avvicinarsi nel modo giusto per essere uno stimolo senza essere un condizionamento, per ascoltare senza giudicare, perché la cosa prioritaria è favorire la libertà di scelta della persona, evitando l’indottrinamento di chi, in qualche modo, ce l’ha già fatta. D’altra parte oltre ai punti in comune ci sono tante differenze, a cominciare dal fatto che nelle unità spinali si approcciano persone nella fase acuta”.
Dopo 13 anni un primo bilancio?
Dal 2011 l’Ospedale realizza il percorso di supporto alla pari attraverso la collaborazione con l’AUS Montecatone, l’associazione degli utenti dell’Unità spinale di Montecatone; dal 2021 oltre a questa associazione, abbiamo riattivato la collaborazione con Fondazione Montecatone Onlus, cosa che ci ha permesso di ampliare la “squadra” di persone disponibili.
In questi anni abbiamo raccolto i dati di soddisfazione delle persone ricoverate, e il rimando che riceviamo è che la presenza organizzata di persone esperte per esperienza viene vissuta come utile e opportuna, sia durante il ricovero, sia nella fase del difficile ritorno a casa, sia nelle fasi successive di reinserimento definitivo nella società.
Questo risultato è frutto di un continuo aggiustamento di regole, per valorizzare in modo ottimale la disponibilità delle persone che si avvicinano dicendo: ‘Ho fatto tanta fatica a superare questo trauma e ad avere adesso una vita soddisfacente, anche per questo ora mi sento disponibile a regalare la mia fatica a qualcuno che adesso vede solo nero’. Il passaggio da questa disponibilità ad una attività che dia soddisfazione alle persone ricoverate, che sia integrata con il lavoro degli operatori e che lasci soddisfatto l’Esp non è automatico, come non lo è l’approccio con chi da poche ore sta sdraiato in un letto con la vita che gli è radicalmente cambiata; se non ti dai delle regole condivise, questa esperienza rischia di non lasciare tracce e invece è necessario fare emergere i risultati. A questo scopo, abbiamo creato un gruppo multidisciplinare di operatori a cui partecipa anche un Esp, che periodicamente si confronta per affrontare le criticità.
Angelo, come hai vissuto tu questo percorso?
A. Ha ragione Claudia, non è stato facile. E’ stato importante trovare gli aggiustamenti che ci permettessero di valorizzare le positive esperienze che abbiamo fatto con tante persone, sino ad avere delle risorse che possono veramente affiancare chi è ricoverato e i suoi parenti. Il tutto cercando anche di tutelare il benessere di chi si mette in gioco, perché si tratta di un lavoro che ti mette davvero alla prova, quindi non dobbiamo mai perdere di vista il fatto che non sempre chi per tanti anni è stato in carrozzina è pronto a svolgere un’esperienza di questo genere, oppure chi lo fa, può in un determinato momento entrare in difficoltà rischiando il proprio equilibrio senza essere poi utile agli altri. E’ importante la formazione che si fa confrontandosi tra gli esperti per esperienza, dandosi una mano interpretando i comportamenti e rileggendoli. Serve sempre una forte volontà personale e una struttura disponibile a sperimentare e supportare l’iniziativa.
Quindi una forte attenzione ai rapporti…
A. Al rapporto con utenti e i familiari aggiungerei anche quelli con le istituzioni. Operiamo dentro ad una realtà complessa ed è necessario che ci sia profonda condivisione sugli obiettivi, con il sostegno e l’aiuto degli operatori perché sono coloro che vivono questa battaglia giorno per giorno. E’ un equilibrio delicato e bisogna saperlo governare. In questi anni effettivamente abbiamo avuto anche dei momenti complessi, dovuti alla mancanza di esperienza, a volte prevale la fretta di cambiare certe cose che non ci sembrano giuste, ma ovviamente la realtà dipende da tanti fattori di cui bisogna tenere conto. Nei fatti il nostro è un rapporto che in questi anni si è andato a precisare dandosi delle regole, facendo molti passi avanti ma anche qualcuno indietro.
Rispetto alla salute mentale vi sono anche differenze sull’inquadramento degli Esp.
C. Ciò che ci differenzia principalmente dagli Esp della salute mentale è che in quel caso si è fatta la scelta di codificare un percorso formativo, che permette di avere una qualifica finalizzata ad ottenere anche un riconoscimento economico da parte delle varie Asl, semmai attraverso delle convenzioni con delle strutture esterne, ad esempio cooperative o associazioni. A Montecatone invece operiamo a tutt’oggi solo con dei volontari ai quali, se l’associazione di appartenenza lo richiede, rimborsiamo le spese di viaggio. Una scelta che è stata e lo è tuttora argomento di grande discussione. Ora siamo nel guado, è una questione da approfondire anche a tutela delle persone che necessitano di formazione in maniera continua. Abbiamo scelto questa strada perché in parte ce l’hanno suggerito gli stessi Esp. Nel momento in cui non si è più volontari si diventa una sorta di operatori, mentre secondo loro questa figura sarebbe meglio rimanesse anche visibilmente come uno alla pari per davvero.
Manca comunque una normativa chiara.
C. In effetti non esiste una normativa che regoli il rapporto con queste figure. In alcune esperienze simili alla nostra è stata fatta la scelta di avere una persona con disabilità nello staff, puntando su una figura che avesse la qualifica di disability manager, già riconosciuta con corsi specifici in diversi atenei italiani. Chiaramente cambia anche il tipo di prestazione perché se diventi operatori devi avere anche degli standard di riferimento su cosa fare, come farlo e con quali risultati. Ciò che invece noi chiediamo ai nostri Esp è di essere a disposizione di quei pazienti che lo desiderano, intrattenendoli anche per molto tempo – con il rischio di non portare a casa nessun risultato tangibile. Siamo in una fase in cui sono una sorta di equilibristi, un po’ volontari, un po’ operatori, un po’ alla pari sia con noi che con i pazienti. (Continua)
(Valerio Zanotti)