L’alluvione ha cambiato le carte in tavola. Oggi quali sono i binari per la costruzione di nuovi progetti agricoli che tengano conto, allo stesso tempo, della sostenibilità e del cambiamento climatico? Ce ne parla il coordinatore regionale di Agrocepi Roberto Fenati.

“L’alluvione non ha cambiato le carte in tavola, ha cambiato il gioco! Questa calamità è stata la cosiddetta ciliegina  finale di una serie di situazioni negative: gelate, grandinate, prezzi al produttore inadeguati e costi di produzione alle stelle. Una serie di eventi che oramai si ripropongono da alcuni anni e che hanno sfibrato la resilienza delle aziende agricole romagnole, e non solo. Sui  danni  avuti parlano di oltre il 40% della PLV persa, la stima va  dagli 800 miòioni di euro ai 1.100 ml €, senza contare i danni alle strutture”.

Quali sono le richieste?
“E’ naturale che si chieda a gran voce e in tutte le maniere il ristoro totale , anche su quelli strutturali. A tutto ciò si aggiunge il rischio per  il sistema agroalimentare romagnolo  di perdere sbocchi di mercato se non rimpiazzerà le produzioni perse, rischio aumentato, teniamo conto, anche dai problemi post alluvione : ulteriori grandinate,  forti venti, problemi di malattie fungine ecc. Si legge che grandi gruppi economici del nostro territorio hanno già in essere investimenti in altri regioni e sicuramente li incrementeranno in un ottica di diversificazione territoriale atta a ridurre i rischi climatici”.

Richieste, ma anche azioni…
“Oltre alle naturali richieste di risarcimento i nostri grandi attori ortofrutticoli stanno adottando strategie correlate ai cambiamenti climatici in atto, al di là delle polemiche e del confronto in atto su questo scottante tema. Ma investire in altre regioni ha anche una relazione con la nostra maglia poderale e in particolare modo con il capitale umano sempre più anziano che la anima. Qualche voce che parla di progettare un cambiamento epocale si comincia però a sentire, ovvero non si può solo pensare di rifare tutto come prima. Sono spunti interessanti, riflessioni da condividere ed approfondire. Registriamo però una assenza , al momento, dell’istituzione regione e della politica in generale su questo tema”.

Se non si può tornare al come primam che strada per l’agricoltura romagnola?
“A nostro parere deve partire da una riflessione sulle risorse naturali e sui limiti che dobbiamo darci nel loro utilizzo: il territorio, il capitale naturale che abbiamo a disposizione non è inesauribile e soprattutto non si crea dal nulla. La risorsa acqua quanto sarà disponibile nei prossimi anni , non solo per il settore agricolo, ma anche per usi civili e industriali?  La logica dello sviluppo deve innovarsi, ma deve sempre di più essere integrato fra i settori e fra i diversi attori, economici e non, al fine di trovare il giusto equilibrio. Speriamo venga mantenuta la promessa del 100% dei ristori, ma al di là di questa speranza la domanda da farsi è cosa facciamo se non arrivano tutte le risorse richieste? Il settore agricolo comunque deve partecipare alla pianificazione dell’uso dei soldi pubblici indirizzati sulle strutture pubbliche ed ad uso pubblico. Esemplifichiamo: è necessario  rifare gli argini, le casse di espansione (dove possibile), ma è altrettanto utile e necessario operare per dare spazio ai fiumi in caso di rottura degli argini, permettere alla natura di rimpinguare le falde superficiali, non costruendo nuove costruzioni in aree deputate a questa funzione. Bisogna rendersi conto e prendere atto che forse non saremo più in grado di produrre frutta e altro come prima, che forse coltiveremo piante mai viste da queste parti. Innovazione e ricerca  ci potranno dare sicuramente una mano in questo percorso, in tutte le loro declinazioni”.

Al momento sentiamo una babele di linguaggi, a che servono?
“La più grande innovazione sarebbe iniziare a parlare un linguaggio  comune, non solo fra imprese, grandi o piccole, ma  anche all’interno dell’istituzione regione e fra questa e le amministrazioni territoriali, intendiamo anche i consorzi di bonifica e quant’altro. I produttori agricoli devono iniziare a comprendere che è necessaria una loro crescita  imprenditoriale e questo significa collaborare fra loro, al di là dello strumento cooperativo che mostra sempre più forti segnali di crisi . Il territorio ha bisogno di una riformulazione di come dovrà essere la futura struttura aziendale. Le imprese coltivatrici dirette sono alla fine del loro ciclo naturale?  Si deve puntare sulle imprese di capitale con adeguate dimensioni strutturali e dotate di risorse finanziarie provenienti da settori extra agricoli? Sempre per rimanere in tema di risorse oltre a quelle naturali e umane oramai abbiamo aziende agricole sempre meno affidabili dal punto di vista creditizio, manca la capacità di generare redditto, mancano le risorse finanziarie! Quale ruolo possiamo e vogliamo dare alle aziende agricole che ancora resistono nelle aree collinari interne? La società si può permettere di finanziarle a fondo perduto perché mantengano e producano capitale  Natura ? Questi processi sono comunque  in atto, va capito se vogliamo in parte guidarli oppure subirli. La nostra associazione sindacale punta sugli imprenditori che vedono nei contratti di rete e nelle filiere lo strumento principe per la loro intrapresa. Siamo pertanto una organizzazione che associa tutti i soggetti della filiera in un ottica di equa distribuzione del valore. Pensiamo che  i futuri progetti non debbano essere  solo agricoli, ma agroalimentari , questa è la nostra impronta caratteristica”.

In questa fase quale può essere il contributo di Agrocepi? Non è forse ora di rivedere il modello dei sindacati agricoli e del mondo cooperativo di settore?
“Quello che cerchiamo di concretizzare è portare le aziende, agricole e non,  verso il mercato tramite progetti di filiera e contratti di rete, finanziati con fondi pubblici o meno, integrando in questo percorso la ricerca , la sperimentazione, la formazione e tutto ciò che può servire ad uno sviluppo sostenibile e responsabile. Non vogliamo replicare la strutturazione delle organizzazioni professionali agricole nello specifico non forniamo servizi burocratici in maniera diretta. Non abbiamo perciò impiegati come dipendenti. Abbiamo in essere convenzioni con studi professionali, CAA , Caf sul territorio. Le aziende agricole nostra socie possono reperire gli abituali servizi da questa rete di convenzioni oppure acquisendoli perfino da società di servizi collegate alle organizzazioni agricole, a loro piacimento, non vogliamo legare nessuno con questo vincolo. Questo vale anche per gli altri soggetti delle filiere che stiamo creando: piccole e medie imprese agroindustriali , commerciali e quant’altro. Per noi fare sindacato e consulenza sono le coordinate principali, riteniamo ve ne sia assoluto bisogno. Il futuro dei sindacati , in generale, è legato ancora al passato , non solo remoto. Le attuali strategie sindacali , come anche la mancanza di strategie ,sono  dovute alla evoluzione della politica partitica degli ultimi 30 anni. Sono due sistemi che  si auto alimentano , molte volte avendo obiettivi lontano dalle vere esigenze di chi rappresentano o dicono di rappresentare. Siamo comunque parte di un a Italia in declino e  siamo  corresponsabili di questa deriva..Forse l’unica speranza che abbiamo di dare un senso alla nostra azione sindacale  è quella di tornare alle origini : tutelare   gli associati senza chiedere loro una delega in bianco, ma sottoponendosi al loro giudizio. La domanda che dobbiamo avere sempre presente è : cosa vogliono da noi gli associati , li stiamo tutelando come vorrebbero ? Così come dobbiamo porci il problema di essere un momento aggregante e di cooperazione , non è più l’epoca delle divisioni!”.

(a cura di m.z.)