Durante la Guerra fredda l’Austria era il luogo privilegiato dai servizi segreti di tutto il mondo e il governo locale chiudeva un occhio. Poco è cambiato da allora: dall’invasione dell’Ucraina, l’Austria ha espulso “solo” 4 diplomatici russi sospettati di spionaggio, rispetto ai 400 dell’intera Ue.

A Vienna sorge un piccolo museo privato dedicato al film del 1949 “Il terzo uomo” (con Orson Wells e la nostra Alida Valli, vincitore del Grand Prix per il miglior film al Festival di Cannes), pieno di migliaia di cimeli di quella che è forse la pellicola britannica di maggior successo del XX secolo, ambientata proprio nella capitale austriaca del secondo dopoguerra, occupata per dieci anni dagli Alleati.

Lo sceneggiatore del film, Graham Greene (scrittore, drammaturgo, sceneggiatore e critico letterario, scomparso nel 1991), era stato un agente dei servizi britannici del MI6 durante la seconda guerra mondiale. Nel corso del servizio in Sierra Leone, aveva conosciuto Kim Philby, il suo supervisore, in seguito rivelatosi un agente doppiogiochista dell’Unione Sovietica. Costui, su cui si dice che Greene abbia basato il personaggio di Orson Welles del film, aveva vissuto per un periodo a Vienna, sposando nel 1934 Litzi Friedman, membro di spicco del Partito Comunista d’Austria, con cui riuscirà a far fuggire dalla città oppositori politici e attivisti di sinistra dopo la presa del potere dei nazisti e l’Anschluss voluto da Adolf Hitler. Per scappare usarono le fogne, proprio dove si svolge il finale del film del 1949.

La città ospita diversi importanti soggetti internazionali, tra cui l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio (Opec), l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) e altri enti delle Nazioni Unite, dando occasione agli Stati aderenti di camuffare da diplomatici i propri agenti segreti e introdurli nelle varie delegazioni presenti nella capitale, complice anche la predisposizione dell’Austria a chiudere un occhio se le attività svolte non sono dirette contro i suoi interessi nazionali.

L’intelligence fa parte della storia e quasi del Dna della capitale austriaca. I numeri sono piuttosto rilevanti: a Vienna operano, realisticamente, tra le 7 e le 8mila spie professioniste, non tutte al servizio di Stati: la maggior parte di queste spie lavorano per enti privati, imprese, banche, media, etc, alla ricerca di segreti industriali più che di informazioni vitali per la sicurezza delle nazioni.

Così, in Austria, operano agenti cinesi, russi, iraniani, israeliani e sauditi, oltre a statunitensi, britannici e di altri Stati europei. Una situazione allarmante per l’Ue, soprattutto visti gli scandali che hanno coinvolto le agenzie locali austriache.

Ci sono organizzazioni che fanno il doppio e il triplo gioco e per questo Vienna subisce critiche da Gran Bretagna, Francia, Germania e anche dall’Italia. Ma è una questione di interessi nazionali, gli austriaci sono particolarmente abili in questo gioco e lo sfruttano per mantenere il proprio benessere.

Cent’anni fa, alla fine dell’Impero, l’Austria era uno stato fallito, ora è tra i Paesi più ricchi, quindicesimo nella classifica mondiale per Prodotto interno lordo (Pil), con superficie e popolazione di un sesto rispetto a quella del nostro paese.

È “il business dello spionaggio, bellezza!”, per richiamare una delle battute cinematografiche più note di tutti i tempi.

(Tiziano Conti)