Nuovo appuntamento con “Profili”, la rubrica letteraria, curata da Andrea Pagani. Si tratta di una rubrica mensile, che esce l’ultima domenica di ogni mese, in cui si propone il profilo di un grande artista della letteratura, della pittura, del fumetto, del cinema, della storia. Un appuntamento imperdibile.
Senza dubbio il fatto che il padre, Thomas, e che il nonno, Robert, fossero due importanti ingegneri civili, fra i più autorevoli costruttori di fari di tutta la Corona britannica fra il XVIII e il XIX secolo, e il fatto che si spostassero di continuo fra nord della Scozia e sud dell’Inghilterra, soprattutto sule isole Orcadi, per realizzare fari per la marina inglese (uno dei più noti è il faro di Bell Rock, alto 35 metri, nel Mare del Nord, al largo della costa di Angus, il più antico faro marino sopravvissuto al mondo), senza dubbio, dicevamo, questo elemento deve aver profondamente influito nella creatività, nella capacità immaginativa, nella fantasia del bambino Robert Louis Stevenson, colui che sarebbe diventato negli anni a venire uno dei più grandi affabulatori della letteratura, uno scrittore in grado di inventare storie meravigliose, favole, trame e personaggi indimenticabili.
E di certo, allo stesso modo, per il bambino Stevenson, gracile di salute, esile anzi magrissimo, colpito da frequenti episodi febbrili con difficoltà respiratorie (i medici diagnosticarono una bronchite cronica, per la quale, a quei tempi, non si esistevano cure), che fu affidato alle cure di un’infermiera, Alison Cunningham, detta “Cummy“, alla quale dedicherà poi un libro di versi, di certo, dicevamo, le storie che gli raccontava Cummy nelle tempestose serata scozzesi, ricche di leggende celtiche e immagini fiabesche, lo affascinarono e suggestionarono profondamente, e gli instillarono quell’ingrediente d’inesauribile forza inventiva che sarà poi alla base dei suoi capolavori.
E di certo, infine, i numerosi viaggi che dovette (e volle) affrontare in giro per il mondo, su consiglio dei medici come cura per la sua bronchite e tubercolosi, ma anche affascinato dalla scoperta di terre lontane, dall’Italia alla Francia, dalla California fino addirittura alle isole Samoa, uno stato insulare dell’Oceania nell’oceano Pacifico meridionale, dove morì nel 1894 all’età di 44 anni, celebrato e riverito dagli indigeni del luogo come il Tusitala (“narratore di storie”), di certo, anche questa sete vagabonda e peregrinante giocò un ruolo decisivo nella prodigiosa originalità creativa di Stevenson.
Eppure non c’è solo questo nei capolavori dello scrittore scozzese. Non c’è solo la geniale sagacia, ingegnosa inventiva, fascino dell’avventura. Ma c’è anche una sconcertante drammaticità e profondità di idee nel costruire storie e personaggi che, a ben vedere, anticipano temi ed atmosfere del secolo successivo, quelle fosche ombre e quelle tinte sinistre che avrebbero dominato il decadente XX secolo.
Forse è meno nota, infatti, qual è la genesi di alcuni capolavori di Stevenson: quali sono, potremmo dire, i retroscena, gli elementi documentari, gli aneddoti, che vale la pena indagare per rendersi conto della grandezza di questo autore.
È poco noto, ad esempio, il fatto che alla base della costruzione di uno dei suoi libri più formidabili, Lo strano caso del dr Jekyll e Mr Hyde (1886), ma anche dei due volumi di novelle di Le nuove mille e una notte (1882) e de Il trafugatore di salme (1884), sussiste una vicenda di cronaca nera, su cui Stevenson si documentò dettagliatamente e che, oltre a ricondurre e rielaborare in modo originale la tradizione gotica (da Stoker alla Shelley, da Walpole alla Radcliffe), preludono alle ombre conturbanti che avrebbero dominato la narrativa del Novecento, i grandi temi del doppio, della schizofrenia, della malattia mentale e della violenza oscura dell’inconscio.
Si tratta dell’inquietante vicenda che vide come protagonisti William Burke e William Hare, anche noti come “Assassini di West Port”, due serial killer che agirono a Edimburgo, dal novembre 1827 al 31 ottobre 1828, ma dietro cui operava nell’ombra un medico prestigioso, addirittura docente universitario di anatomia dell’Edinburgh Medical College, il dottor Robert Knox.
Le indagini degli inquirenti infatti cercarono di dimostrare (ma in verità il caso rimase aperto) che le ricerche scientifiche del dr Knox (autore peraltro di un saggio dal titolo emblematico, profeticamente inquietante, Le razze degli uomini, 1862), che partiva da studi d’anatomia per poi virare verso ipotesi evoluzionistiche, comportamentistiche e in qualche misura esoterico-spiritualiste, avevano bisogno di cadaveri in numero sempre maggiore, tant’è che il medico scovò nei quartieri poveri di Edimburgo due immigrati irlandesi (appunto Burke ed Hare), pagandoli un’autentica miseria, per fare il “lavoro sporco”: andare nei cimiteri, profanare le tombe, dissotterrare i cadaveri e portarli alla sala di anatomia, fino al punto in cui, siccome la città non era più sufficiente per tali ricerche, si procedette all’uccisione di 17 vittime nella città Vecchia, fra prostitute e vagabondi. Al diciassettesimo omicidio tuttavia assistette una testimone che portò alla carcerazione dei due serial killer, anche se il dottor Knox scampò alle accuse.
Quale forte suggestione ebbe questa vicenda nelle mente di Stevenson?
È evidente che nel capolavoro Lo strano caso del dr Jekyll e Mr Hyde non vi sia soltanto una sapiente costruzione narrativa, un gioco di abile detection, guidata dal dottor Utterson, con un inaspettato svelamento finale; non soltanto una meravigliosa rappresentazione di una Londra vittoriana, anche se si scorgono affreschi e tratti di Edimburgo e comunque suggestioni nebbiose di tante città gotiche anglosassoni; non solo temi complessi e intramontabili come quelli dello sdoppiamento di personalità o meglio del doppio, con le conseguenze che questo porta sulla società, temi come la convivenza, la conflittuale ma irresolubile compresenza di bene e male, di salute e malvagità, come la malattia mentale, la schizofrenia, le forze oscure dell’inconscio. Non solo. V’è anche una sconvolgente riflessione, ispirata alle raccapriccianti vicende della cronaca nera, sul rapporto fra scienza e morale, fra medicina ed etica, sugli orizzonti a cui si può e deve spingere l’intelligenza e la sete di conoscenza dell’uomo.
Temi che Stevenson ha saputo tradurre in forma narrativa, che hanno accompagnato i secoli successivi e che s’impongono, oggi più che mai, per la loro stringente attualità.
(Andrea Pagani)
Sintesi perfetta di quest’Autore e stimolo alla lettura delle sue fondamentali opere.
Suggerisco un ” laboratorio” di Ippogrifo sul DOPPIO, condotto a più voci, che consideri l’argomento dalle sue origini ai tempi nostri.
Grazie Andrea.