Oppenheimer” di Christopher Nolan è, come il regista stesso sottolinea, un film per la sala. Non che ci siano Opere Cinematografiche (doppia maiuscola) la cui fruizione ideale non sia quella in sala ma, sicuramente, il nuovo film del regista di “Tenet” soffrirebbe parecchio in una riproduzione casalinga, per la mancanza del maxischermo e di un potente impianto audio.

Le specifiche appena citate sono infatti i punti di forza di “Oppenheimer”. Quello che manca è, invece, chiarezza espositiva e di intenti. Una costante degli ultimi film del regista britannico il quale non ha mai avuto difficoltà a (ri)creare il contenitore ma a cui spesso sfugge il contenuto.

Nel titolo dimora il cognome del protagonista: J. Robert Oppenheimer, fisico quantistico americano, noto per aver costruito la prima bomba atomica.

Il sentiero storiografico proposto da Nolan nel film è friabile e poggia su una struttura narrativa instabile. Il film mischia diversi momenti storici, passando tra uno e l’altro velocemente e senza troppo criterio. Di alcune scene è difficile addirittura capire a che periodo storico facciano riferimento.

Gli aspetti personali relativi al giovane Oppenheimer, le cronache del progetto Manhattan, gli incontri con Einstein, il successo, gli incubi, il rapporto con la moglie e i dettagli dell’udienza segreta, con la quale avviene la confisca del nulla osta sulla sicurezza, sono tutti eventi serrati e appesi all’espressività di Cillian Murphy, sicuramente prossimo candidato agli Oscar, e ai primi e primissimi piani sui suoi ambiziosi occhi ghiaccio.

Ad accompagnare l’attore di “Peaky Blinders”, altri grandissimi interpreti hollywoodiani: Matt Damon; Emily Blunt; Jason Clarke; un bravissimo Casey Affleck; Rami Malek; Florence Pugh e Kenneth Branagh. Grazie a loro il film assume grande intensità e forte valenza storica. Gran parte degli attori, infatti, donano volto e personalità a tanti fisici del secolo scorso: da Heisenberg a Niels Bohr, passando per Teller, Enrico Fermi e altri importantissimi della scienza.

Spicca, inoltre, Robert Downey Jr nei panni di Lewis Strauss, antagonista di Oppenheimer. La sua performance è impeccabile ma è il personaggio interpretato a non suscitare interesse e ad ostacolare la fluidità del film. Se l’appesantimento narrativo si somma con l’affezione che Nolan ha per la non-linearità, il film risulta quindi un groviglio di scene (spettacolari, però).

La colonna sonora, pregevole, costante e monotona, funge da stampella per un montaggio che, per assecondare la bulimia di intrecci nolaniana, si rivela squilibrato e frenetico.

Sembra quasi che il regista, in questo un pò puerile, voglia redimere Oppenheimer e puntare il dito sulla crudeltà di Lewis Strauss (suggerendo velatamente anche la possibilità della sua partecipazione nell’assassinio Kennedy). Così facendo però lascia il protagonista in una condizione di stallo, vittima e carnefice, attaccato e celebrato, odiato e amato, senza possibilità di mostrarsi a fondo.

Non emerge la complessità dell’uomo, non si indaga l’etica dello scienziato e le riflessioni sulla cinica e fallocrate politica americana risultano più accenni che prese di posizione. Anche la fisica è messa in secondo piano, come del resto il lato romantico-sentimentale di Oppenheimer ( sul finale si allude addirittura ad una sua relazione con la moglie del generale Groves), e anche il lato folle e poco equilibrato che lo avevano portato a predisporre l’omicidio del suo professore di Cambridge.

Negli ultimi giorni, come spesso accade dopo l’uscita dei prodotti di Christopher Nolan, si è generato un grande movimento mediatico. Maggiore, rispetto al consueto scambio di riflessioni riguardo al film, è, però, la ricerca di elementi per meglio comprenderlo o, al limite, l’esaltazione dello scarso utilizzo di CGI (che in scene come quelle in cui il protagonista immagina lo spellarsi delle persone esposte alla bomba atomica avrebbe fatto comodo).

Cosa rimane quindi? Potenza visiva, suggestione sonora e validità storica per un film giusto e che intrattiene ma che, tutto sommato, delude le aspettative.

(Leonardo Ricci Lucchi)