Venezia, 7 settembre 2023. Due giorni dalla fine della mostra, tanta carne al fuoco, tanti modi di narrare storie, a cui si aggiunge quello dell’ultimo dei 6 film italiani in concorso per il Leone d’Oro. Ma non solo. E’ “Lubo”, di Giorgio Diritti, con Franz Rogowski, Christophe Sermet, Valentina Bellè.
Lubo è un nomade, un artista di strada che nel 1939 viene chiamato nell’esercito elvetico a difendere i confini nazionali dal rischio di un’invasione tedesca. Poco tempo dopo scopre che sua moglie è morta nel tentativo di impedire ai gendarmi di prendere i loro tre figli piccoli, strappati alla famiglia in quanto Jenisch, come da programma di rieducazione nazionale per i bambini di strada. Lubo sa che non avrà più pace fino a quando non avrà ritrovato i suoi figli e ottenuto giustizia per la sua storia e per quella di tutti i diversi come lui. E così architetta la sua vendetta, lunga e articolata. è un film torrenziale “Lubo”, una pellicola che dura tre ore e in cui si vivono emozioni diverse nel corso della visione: dalla sofferenza alla gioia, dalla speranza al dolore, questo lungometraggio ci porta su una giostra ricca di svariate sensazioni. Allo stesso modo è anche un prodotto altalenante, prolisso, dove si perdono un po’ le fila dell’intento che muove il protagonista. Il film ha il suo punto di forza nel protagonista, Rogowski, un attore tedesco che ha gia lavorato in Italia.
Il regista, bolognese, già autore di “L’uomo che verrà” sull’eccidio avvenuto a Marzabotto durante lgli ultimi giorni del nazifascismo e di “Volevo nascondermi”, la biografia di Ligabue con Elio Germano, spiega: “Nello svolgersi degli eventi emerge quanto principi folli e leggi discriminatorie generino un male che si espande come una macchia d’olio nel tempo, penetrando nelle vite degli uomini, modificandone i percorsi, i valori, generando dolore, rabbia, violenza, ambiguità…ma anche un amore per la vita e per i propri figli che vuole sopravvivere a tutto e riportare giustizia”.
Per la critica il film è stato divisivo, sicuramente lungo, con tante emozioni diverse, tanto che nella parte centrale si perde il filo principale della storia, anche se si loda l’interpretazione dell’attore tedesco Franz Rogowski, già visto in altri film italiani come “Freaks out” di Gabriele Mainetti, presente in giuria.
“Holly” della regista belga Fien Troch, con Cathalina Geeraerts, Felix Heremans, Greet Verstraete è l’altro film in concorso a Venezia 80 e narra della quindicenne Holly, che un giorno chiama la scuola dicendo che resterà a casa. Poco dopo nell’istituto scoppia un incendio in cui muoiono diversi studenti. L’intera comunità, colpita dalla tragedia, si riunisce per cercare consolazione. Anna, una delle docenti, è affascinata dalla strana premonizione di Holly e la invita a far parte del suo gruppo di volontari. La sola presenza di Holly trasmette tranquillità, calore e speranza. Presto però tutti vogliono incontrarla e sentire l’energia catartica che emana da lei, chiedendo alla ragazza sempre di più. Dopo aver vinto il premio per la miglior regia con “Home” nel 2016 nella sezione Orizzonti, la cineasta belga Fien Troch torna al Lido con un un altro lungometraggio incentrato sull’adolescenza. Critici divisi, per alcuni dopo una buona prima parte si perde nella conclusione, per altri porta avanti con rarefazione e maestria la sua storia di crescita e formazione.
(Caterina Grazioli)