Partiamo dal nome assegnato dallo stesso Governo nel comunicato stampa pubblicato sul sito istituzionale: “Contrasto al disagio giovanile”. Chiunque astrattamente è concorde nel sostenere che il disagio giovanile vada combattuto; il problema è come.
Questo decreto prevede un solo strumento: la repressione con carcere e limitazioni a tutte le età, dai dodici anni in su.
In estrema sintesi, questo decreto prevede l’estensione del Daspo urbano (divieto di accesso ad alcune zone) anche per i quattordicenni, ammonimento anche per i dodicenni (con anomala sanzione da 200 a 1.000 € per i genitori), divieto di uso di strumenti informatici quali il cellulare.
Il punto più sorprendente arriva con la previsione di un nuovo reato punito con la reclusione per il minore che abbandona la scuola o, addirittura, che elude il sistema con il numero massimo di assenze previste dalla legge per non perdere l’anno scolastico.
Infine, ma non di meno importanza, si abbassa la soglia della pena massima dei reati ai fini dell’arresto e della carcerazione del quattordicenne.
La questione è la seguente: questi strumenti sanzionatori possono risolvere il problema che il Governo si prefigge? Esiste l’eventualità che questo nuovo decreto crei conseguenze peggiori?
Va detto che lo strumento penale ed in generale quello repressivo (si potrebbe anche riflettere sulla costituzionalità del Daspo, strumento che limita la libertà del cittadino la cui competenza è del Questore anziché, come forse sarebbe più corretto, della Magistratura) quasi sempre non risolve un fenomeno come quello in questione. La ragione è da individuarsi della natura dello stesso diritto penale, che, operando sempre e solo in via sussidiaria, “eleva” a reato solamente quei comportamenti ritenuti particolarmente odiosi e per i quali non esiste altro strumento sanzionatorio.
Ma attenzione: la sanzione penale è sempre utile a combattere un fenomeno criminale? Senza doversi addentrare in questioni complesse sul piano tecnico-giuridico, possiamo semplificare la questione ponendoci una ulteriore domanda: il fenomeno del disagio giovanile in questione, è un fenomeno criminale o sociale? Se siamo nella seconda ipotesi, cosa assai probabile, allora lo strumento penale servirà a poco.
Un fenomeno sociale, quale quello dei minori che abbandonano la scuola o che formano le cosiddette baby gang, nasce perché lo Stato, in quel contesto, è debole o inesistente, abbandonando le famiglie e non seguendo la crescita dei ragazzi. Quindi non un fenomeno di criminalità ma, spesso e volentieri, una conseguenza dovuta ad errori della politica.
Pensare di risolvere il problema con carcere e limitazioni personali significa gettare altra benzina sul fuoco, utile forse per guadagnare un paio di voti nei sondaggi, ma dannosa per gli interessati. Il minore che si trova (spesso non sceglie) in una baby gang potrebbe esser portato a considerare il carcere “una cosa da grandi”, o comunque una conseguenza. Punire con la reclusione l’abbandono della scuola significa non voler affrontare il problema della radice.
Ecco perché lo strumento per dissuadere il giovane a far parte della microcriminalità si individua altrove, ossia, ad esempio, con il finanziamento di strumenti pedagogici, di assistenza, anche a fianco della famiglia.
(Andrea Valentinotti)