Venezia, 9 settembre 2023. Ultimi tre film in Concorso nella decima giornata dell’80ª edizione della kermesse: “Memory” del regista messicano Michel Franco con Jessica Chastain, sbarcata al Lido con una maglia in supporto allo sciopero degli attori Usa, “Hors-Saison” di Stephane Brizé con Alba Rohrwacher e Guillaume Canet e “Kobieta Z (Woman of)” di Malgorzata Szumowska e Michal Englert, con Małgorzata Hajewska-Krzysztofik, Joanna Kulig, Bogumila Bajor e Mateusz Wieclawek. Fuori Concorso “Enzo Jannacci vengo anch’io” firmato da Giorgio Verdelli. A Orizzonti esordio per “Invelle (Nowhere)”, storia di famiglia realizzata dal maestro dell’animazione Simone Massi.
“Hors saison”, film diretto da Stéphane Brizé, racconta la storia di Mathieu e di Alice. Lui ha cinquanta anni ed è un attore affermato e di successo, che vive a Parigi, sposato con una super impegnata anchor-woman tv. Lei di anni ne ha quaranta ed è un’insegnante di pianoforte, che vive in una cittadina di provincia. I due si sono innamorati quindici anni fa e in seguito hanno deciso, o forse meglio uno dei due ha subito la decisione dell’altro, di separarsi.
Dal momento del loro distacco di tempo ne è passato, ognuno ha preso la propria strada e le ferite di quella rottura si sono rimarginate più o meno lentamente. Quando Mathieu si reca in una spa specializzata in talassoterapia per degli idromassaggi e riflettere su una importante rinuncia professionale che ha voluto fare lasciando altri nei guai, si imbatte inaspettatamente in Alice che vive da anni in questo paese sul mare, lontano dal frastuono, in questo rifugio tranquillo, insieme alla famiglia che si è creata. Due vite agli antipodi che si riuniscono, fuori stagione, riflettendo sulle scelte fatte o subite. Storie che si sono incrociate per un periodo e poi si sono irrimediabilmente allontanate, con o senza rimpianti. La messa in scena è tutta lì. Nelle ritrosie, nei silenzi, nel dolore contenuto che permane in particolare per uno dei due per il mancato approdo alla vita che si sarebbe voluta. Ma anche nel ritrovare un’intesa lontana, che però esiste. Tutto venato da una leggera ironia, malinconica. E la vita va avanti, come una partitura suonata sui tasti, senza le mani a sfiorarli, riconoscendo e affrontando le proprie fragilità. A fare da guida nello svolgersi del racconto c’è il paesaggio con vista sull’Atlantico, brumoso e sfuggente.
Il regista si allontana dai binari della sua memorabile trilogia sociale (“La legge del mercato” del 2015, “In guerra” del 2018, “Un altro mondo” del 2021) e va ad un’indagine personale.
Un film d’altri tempi, nostalgico e d’atmosfera, nei dialoghi, nei corpi e volti degli attori, nei gesti, nella quiete del paesaggio, nelle lacrime e nei sorrisi. Ai critici è piaciuto.
“Kobieta Z” è la storia lunga oltre quarant’anni, che attraversa la Polonia comunista, la caduta del muro di Berlino ed infine la polarizzata società capitalistica polacca attuale, di Aniela Wesoły, nata Andrej, una transgender, con tutte le difficoltà che ha dovuto attraversare per riuscire ad affermare la sua volontà di vivere nel corpo e nella psiche che le apparteneva.
Il film ne narra le vicende da quando il giovane Andrej si tinge le unghie dei piedi ed evita il servizio militare, a quando sposa una ragazza del paese, Iza, con cui metterà al mondo due figli e dove la passione iniziale mano a mano si spegne. Parallelamente alla conquista della libertà del Paese nasce la sua sperimentazione: la voglia di vestirsi da donna, le pratiche erotiche solitarie, la necessità di ormoni femminili. Cerca una risposta medica, ma non trovandola comincia il percorso di accettazione. Aniela poco alla volta deve sacrificare tutto, famiglia, lavoro, casa, relazioni sociali, per inseguire il suo obiettivo. Ed in Polonia, dove le persone LGBT ancora oggi fanno fatica ad affermarsi ed avere una legislazione favorevole, questo vuole dire scontrarsi anche con la legge e i tribunali, con giudici, medici e terapisti pieni di pregiudizi. Un aiuto inaspettatamente verrà dalla stessa famiglia di Aniela.
Il film ha anche un aspetto antropologico senza risultare didattico e si sente il lungo lavoro fatto per fare capire il lento e sofferto passaggio sia interiore sia familiare e sociale da Andrej ad Aniela, con tanto di finale riconoscimento materno. La Aniela adulta è interpretata da una donna, in quanto nelle scuole di cinema, spiegano gli autori che tornano in gara a Venezia tre anni dopo “Non cadrà più la neve”, non sono ammesse persone transgender ed era difficile trovare una interprete all’altezza del ruolo.
Lo scorso aprile, ricordano gli autori, Polonia, Italia e Ungheria sono state condannate dal parlamento europeo per “retorica anti-lgbtia+” e a giugno mezzo milione di persone sono scese in piazza per difendere democrazia e diritti civili. La regia è delicata proprio come la storia che racconta, a volte poco incisiva, ma precisa e curata per restare il più vicina possibile alla sua protagonista, poche parole e molti stati d’animo. Il valore sociale e umano, militante “Siamo tutti esseri umani” e questo voleva essere mostrato, spiega una dei registi della storia, supera il valore cinematografico, pure necessario per tenere le oltre due ore di lungometraggio.
Infine a chiudere c’è il film “Memory”. Michel Franco, messicano, è alla sua terza Mostra del Cinema di Venezia in 3 anni. Nel 2020, con “Nuevo orden” vinse il Leone d’argento-Gran Premio speciale della giuria. New York. Sylvia (Jessica Chastain) ha una vita regolata dalla figlia adolescente con cui vive, il lavoro in un centro di assistenza, le riunioni degli alcolisti anonimi. A una festa con gli ex compagni del liceo, incontra Saul (Peter Sarsgaard). Lui la segue.
Il fratello di Saul non vuole che i due si frequentino. Gli blocca la carta di credito: a 52 anni, Saul soffre di demenza. Nella casa del fratello, con cui abita, post-it gli ricordano che non deve uscire. Ma Saul, dopo aver incontrato Sylvia, non vuole più rientrare…”Per me il cinema serve per conoscere il diverso. ‘Memory’ è una visione ‘non negativa’ della malattia. Ti dice che puoi sentirti meglio”. Il regista spiega così la sua scelta artistica.
E’ un film affidato all’interpretazione dei due attori, che si confrontano sul tema della memoria, dall’una rimossa a causa di eventi traumatici e che riaffiorano nel disordine della sua esistenza e dall’altro che si sta perdendo a causa della malattia ed infine ricostruita anche se forse inesatta. Sono piaciute le interpretazioni di Jessica Chastain e di Peter Sarsgaard.
Nell’attesa di chi sarà premiato questa edizione numero 80 ha vinto la sua prima scommessa, quella col pubblico, i numeri tra biglietti e accrediti sono in aumento rispetto allo scorso anno nonostante la temutissima defezione dei divi per lo sciopero a Hollywood.
(Caterina Grazioli)