Arrivò l’alba del giorno successivo, ed essendoci svegliati poco prima ancora a causa del jet-lag, decidemmo di fare colazione sul balcone, la cittadina ancora addormentata sotto i nostri piedi. Stavamo entrambi pian piano realizzando che fosse la nostra nuova realtà.

Preparammo lo zaino in vista della giornata al mare e scendemmo a prendere il caffè al bar che avevamo battezzato essere quello di fiducia.

I nostri amici arrivarono verso le 8. Insieme a loro c’era anche un’altra ragazza italiana, in visita per un mese.
Essendo principalmente amici di Margherita, mi presentai per la prima volta ed ebbi subito sensazioni positive; oltre ad essere molto sorridenti, mi davano l’idea di essere completamente innamorati dell’Australia.
Ed era una buona iniezione di fiducia!

Guidammo per poco più di mezz’ora in una free high-way (autostrada gratuita) e finalmente prendemmo l’uscita per la spiaggia di Currumbin.
Continuavo ad osservare a bocca aperta il paesaggio circostante, ammaliato da quanto fosse verde.
Poi arrivammo a destinazione e la bocca si aprì ancora di più; mi ritrovai di fronte ad una sorta di baia, con in lontananza i grattacieli di Surfers Paradise e sulla destra una lingua di spiaggia della quale non riuscivo a vedere la fine.

Scegliemmo un posto sulla spiaggia e stendemmo i teli. La nostra coppia di amici aveva portato una tavola da surf, essendo sia insegnanti di wakeboard che appassionati di sport acquatici in generale.
Quando il caldo si fece asfissiante decidemmo di andare a tuffarci.

Rimanemmo dove riuscivamo a toccare perché oltre le correnti del mare erano molto violente.
Steven (il ragazzo italiano) andò comunque, essendo il posto perfetto per surfare. A dimostrarlo i tanti giovani sulle tavole al largo.

Mentre io e Margherita ci stavamo rilassando a riva, vedemmo il bagnino tuffarsi in acqua con la tavola da surf, salvagente attaccato in coda. Non credo di aver mai visto qualcuno nuotare così veloce.

Ci rendemmo conto che stava raggiungendo proprio Gaia (l’amica di Margherita) e la sua amica che si erano allontanate troppo dalla riva ed erano in balia di una corrente fortissima. Non avevano il controllo del loro corpo, e faticavano a rimanere a galla.

Fortunatamente il bagnino arrivò in tempo e riuscì a riportarle dove il mare era calmo. Vennero a sedersi accanto a noi, fisicamente provate e impaurite.
Dissero di non essersi accorte della distanza dalla riva, e che la corrente era arrivata improvvisa e loro non erano in grado di fare nulla se non cercare di rimanere a galla.

Passato lo spavento mangiammo gli snack veloci che avevamo negli zaini. Ad un certo punto vidi un aereo volare troppo basso, come se stesse per schiantarsi proprio su di noi. In realtà stava semplicemente atterrando nell’aeroporto dietro la collina alle nostre spalle.

Decidemmo che era troppo caldo per rimanere lì, fermi al sole, e così facemmo una passeggiata verso gli scogli che costeggiavano la spiaggia. Sulla nostra destra, nel tratto di oceano di fronte all’infinita distesa di sabbia non c’erano bagnanti. Quel tratto era troppo pericoloso (c’erano diversi cartelli di divieto lungo tutta la costa) per via delle correnti; c’erano solamente un paio di pescatori, seduti comodamente sugli scogli, e un gruppo di bambini che nuotavano nelle pozze tra le rocce, al riparo.

Tornati ai teli scegliemmo di fare un ultimo tuffo nella baia prima di raggiungere un grande parco nelle vicinanze, ultima tappa prima di rientrare a casa.
Con i  finestrini abbassati e i capelli bagnati al vento riprendemmo la strada.

In meno di venti minuti arrivammo al Coombabah Lakelands Conservation Park, un’area protetta di circa 1200 ettari. I nostri amici erano già stati lì e ci dissero che avremmo sicuramente avvistato i canguri, sparsi a centinaia, e se fossimo stati fortunati anche i koala. Era un evento raro; trascorrendo le loro giornate a dormire sulle cime degli alberi di eucalipto, di cui sono ghiotti, si mimetizzano tra il fogliame e diventa difficile scorgerli.

Mettemmo il piede fuori dalla macchina e ci ritrovammo di fronte ad un gruppo di almeno una trentina di canguri. Un’altro bellissimo animale in completa libertà nel suo habitat naturale.

Sono cresciuto guardando ogni documentario possibile, su ogni specie animale esistente, ed era come se stessi facendo felice quel bambino che sognava ad occhi aperti davanti alla televisione.

Provammo ad avvicinarci un po’, ma non appena arrivavamo ad un paio di metri si allontanavano saltellando sospettosi. Decidemmo così di proseguire su un sentiero che attraversava una fitta foresta di mangrovie. I raggi del sole filtravano a fatica tra i fitti arbusti, mentre l’acqua rifletteva l’azzurro del cielo, creando un intenso gioco di luci e ombre.

 

Passata la foresta ci ritrovammo in un enorme prato verde, sul quale dominavano altri alberi di eucalipto. Sotto uno dei più vicini si era radunata una piccola folla. Guardavano tutti all’insù.
Incrociai le dita dietro la schiena, speranzoso che avessero avvistato qualcosa.

Alzai gli occhi e lo vidi: un tenero koala, seduto su uno dei rami più alti, vicino al tronco, si stava stiracchiando con grande calma. La fortuna era venuta a farci visita, questa volta.

Con gli occhi estasiati e la bocca distorta in un grande sorriso, ritornammo verso le macchina. Era tempo di rientrare, dopo quella giornata tanto rilassante quanto intensa di novità.

Ringraziammo i ragazzi per la piacevole compagnia (e per averci “scarrozzato”), e con la porta di casa, ci chiudemmo alle spalle il nostro terzo giorno australiano.

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(Daniele Ferri)