Dopo un mese e mezzo di lavoro nella farm di lattughe eravamo arrivati al capolinea; esausti fisicamente ma sopratutto mentalmente, abbiamo deciso di appendere i coltelli da taglio e gli stivali al chiodo. Sapevamo che così facendo avremmo dovuto terminare altrove i giorni mancanti per il rinnovo del visto, ma preferimmo dedicarci alla nostra salute.
I primi giorni furono estasianti. Potevamo alzarci ad orari decisamente normali, facendo poi colazione con calma e passando la giornata a rilassarci in casa. I dolori iniziarono a svanire, e la serenità che ci aveva sempre contraddistinto stava tornando a regnare incontrastata.
Purtroppo quell’utopistico paradiso non sarebbe potuto durare in eterno: nonostante avessimo da parte un budget più che sufficiente, avevamo bisogno di trovare un altro impiego. Sia per poter mettere da parte qualche soldo in più, sia per fare esperienze lavorative che ci sarebbero potute tornare utili in futuro, oltre a farci crescere personalmente.
Così Margherita iniziò a mandare curriculum nei numerosi caffè presenti in città. Avendo sempre lavorato nel settore, e con svariati anni di esperienza alle spalle, sapevamo che per lei non sarebbe stato un problema.
Per me la situazione era leggermente più complessa. Non avendo mai lavorato nel campo della ristorazione i settori si restringevano. Toowoomba era la tipica cittadina dell’entroterra, dove il turismo va e viene e non è una costante come nelle grandi città.
Probabilmente mi sarei dovuto accontentare di un lavoro diverso, un compromesso che sapevo di dover accettare se avessimo voluto continuare ad essere economicamente tranquilli.
Inoltre avevo anche una piccola entrata dal calcio, che consentiva di pagare l’affitto settimanale (250 $).
Passarono i giorni e Margherita trovò lavoro in un carinissimo caffè sulla strada principale della città. L’interno era piccolo e molto curato, mentre all’esterno una grande pedana in legno, ornata da tavoli e sedie, riempiva lo spiazzo in cemento di fronte all’ingresso.
Nonostante dovesse svegliarsi presto (verso le 5), il posto le piaceva e stava creando anche un bel legame con alcune delle colleghe più grandi. Io invece brancolavo nel buio, nonostante avessi lasciato qualche curriculum in alcuni caffé e in un paio di librerie. Un impiego per il quale incrociavo le dita.
Aspettando di ricevere qualche risposta, il tempo libero a disposizione lo sfruttavo seguendo corsi riguardo alla creazione di attività online legate alla scrittura, come un blog. Sarebbe stata la perfetta connessione tra due grandi passioni: la scrittura e il viaggio.
Inoltre riuscivo ad essere più riposato, e la mia stagione calcistica con i Thunder stava decisamente decollando. Stavo segnando tanto, e continuava ad essere una gran bella sensazione.
Dopo circa un mese, la nostra coinquilina nonché proprietaria dell’immobile, mi chiese se fossi interessato a lavorare nell’autolavaggio che gestiva le macchine del concessionario in cui lei stessa lavorava. Non avevo alcuna esperienza, ma immaginavo non fosse poi così difficile imparare da zero. Avevo bisogno di quel lavoro, perciò le lasciai organizzare un appuntamento con il manager.
Qualche giorno dopo arrivai al concessionario, e Troy (il manager) mi accompagnò all’interno dell’officina; oltre alla postazione dedicata al lavaggio manuale, dove immaginavo avrei lavorato io, il resto era una normale officina meccanica, con pedane elevatrici per sollevare le macchine e tutte le attrezzature del caso.
Gli espressi le mie più sincere intenzioni di volere quel posto, così ci salutammo con una stretta di mano e la promessa che sarei stato contattato.
Aspettai altre due settimane, e finalmente ottenni il lavoro. Passai i primi giorni sotto la supervisione di una ragazza che per anni aveva occupato quella posizione. Mi spiegò i vari procedimenti con grande minuziosità; come prima cosa avrei dovuto prendere le chiavi delle macchine da lavare dall’ufficio. Le avrei trovate in ordine di priorità.
Dopodiché avrei dovuto parcheggiarle all’interno della mia postazione e avrei dovuto iniziare a pulirle.
Lavaggio veloce per la polvere, poi pulizia dei cerchi, spugna con il sapone e altro lavaggio, per poi asciugare con il panno in pelle. Infine lucidavo vetri e cerchioni.
Un processo che a seconda delle dimensioni della macchina e di quanto fosse sporca, impiegava quaranta minuti. Per otto ore al giorno, dal lunedì al venerdì.
Una routine che risucchiava parecchie energie mentali, ma che in quel momento sapevo essere necessaria per poter vivere serenamente. (continua)
(Daniele Ferri)