Ho visitato nei giorni scorsi a Riccione la mostra “Robert Capa. Retrospettiva” con più di 100 fotografie in bianco e nero: una esperienza indimenticabile.
Robert Capa è stato uno dei più grandi fotografi del Novecento, quando ancora il mestiere era in una fase poco più che pionieristica: macchina fotografica, rullino da sviluppare e camera oscura.
Capa, insieme a Henri Cartier-Bresson e Robert Doisneau sono i fotografi che prediligo di quel tempo: quelli che poi hanno fondato l’agenzia Magnum, una delle più importanti compagnie fotografiche del mondo.
Le sue fotografie sono centrate sulle persone, sui loro volti, sulla loro sofferenza, registrata così come è, perché quei volti da soli raccontano un mondo.
Le sue opere raccontano il dolore, la miseria, il caos e la crudeltà della guerra. Gli scatti, divenuti iconici – basti pensare alla sua foto più famosa del miliziano ucciso nella guerra civile spagnola o alle uniche fotografie (professionali) dello sbarco in Normandia delle truppe americane, il 6 giugno 1944 – ritraggono i grandi conflitti mondiali del XX secolo, dalla Guerra civile spagnola nel 1936 fino all’Indocina, dove Capa trovò la morte nel 1954, saltando su una mina anti-uomo.
Capa ha saputo cogliere il dolore, guardando da vicino gli eventi. Famosa è la sua frase: “Se le tue fotografie non sono abbastanza buone, non sei abbastanza vicino”: nella foto del miliziano spagnolo si vede che è stato colpito in quell’attimo, a pochi metri dal fotografo, mente allarga le braccia, quasi come Cristo in croce.
La mostra presenta anche l’altra faccia di Robert Capa, con una sezione dedicata ai suoi amici, nella quale emerge la sua vitalità, la sua capacità di trasmettere e condividere un senso di euforia interiore. Vi si possono trovare scrittori e cineasti americani come Ernest Hemingway, William Faulkner, John Steinbeck e John Huston, artisti come Gary Cooper, Ingrid Bergman, Pablo Picasso, Henri Matisse, Truman Capote.
Una parte è dedicata anche alla sua storia personale: la relazione sentimentale e di lavoro tra Gerda Taro e Robert Capa. Tre scatti: un ritratto di Robert scattato da Ruth Orkin, un ritratto di Gerda scattato da Robert e un loro “doppio ritratto” di Fred Stein. Un modo per ricordare in mostra la loro vicenda umana e il loro intenso rapporto.
“Se la tendenza della guerra – osserva Richard Whelan, biografo e studioso di Capa – è quella di disumanizzare, la strategia di Capa fu quella di personalizzare la guerra, registrando singoli gesti ed espressioni del viso”.
Il suo amico John Steinbeck scrisse “Capa Sapeva di non poter fotografare la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino: Robert era in grado di mostrare l’orrore patito da un intero popolo sul volto di un bambino”.
Davanti alle fotografie di un genio, scattate quasi 100 anni fa, si può ritrovare pienamente il giudizio sul valore della vita, sulla inutilità della guerra, ma anche sulla capacità di ogni persone di mantenere intatta la propria dignità, in ogni situazione.
(Tiziano Conti)