Fra qualche mese ci saremo, a giugno infatti in Italia come negli altri 26 paesi della Ue si voterà per rinnovare il Parlamento con la coalizione di maggioranza pro-Ue (popolari-socialisti-liberali) a rischiare di farsi “drenare” consensi sia dal vento che le spira contro da “destra”, sia dal rischio di un incremento di chi si “asterrà” dal votare così da non essere co-responsabile della pigrizia di cui la Ue continua ad esser vittima.
Nel nostro Paese anche le “amministrative” terranno banco lo stesso giorno delle Europee, solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia e pace sono argomenti già nell’agenda di ogni schieramento politico per una campagna elettorale già iniziata l’anno scorso sull’immigrazione, l’economia, la transizione ecologica/energetica fino all’abbinata di fine anno Patto di stabilità-Mes.
Discussioni e litigi senza la capacità di decidere nè su politiche Ue nè su quelle nazionali con una inconcludenza imbarazzante sempre preda di faticose mediazioni necessarie per tentare di imbonire le posizioni, degne più di una riunione condominiale che invece ciò che dovrebbe rappresentare il lavoro di un soggetto politico (Ue o governo nazionale) contro i rischi dei nuovi scenari del post-globalismo, dall’Ucraina che (forse) perderà la guerra al terrorismo che potrà (nuovamente) colpire il vecchio continente, dalla Cina che (forse) invaderà Taiwan agli Usa che passeranno dalla padella (Biden) alla brace (Trump) imboccando un vicolo cieco.
Restando nell’orticello tricolore il 2023 è stato indubbiamente l’anno del governo Meloni, in parte per la novità di avere la prima donna premier anche se mese dopo mese qualche perdita di consenso c’è stata, dall’inflazione che è cresciuta al Pil che non è volato e l’innalzamento del debito pubblico tutti fattori che hanno così eroso la solidità della coalizione di maggioranza fino a decretare la (quasi) certa intenzione di voto di due elettori sopra tre a (poter) cambiare partito, almeno quanto reputato dalla maggioranza dei sondaggisti che hanno peraltro dato sempre “importante” (e stabile) la quota nazionale di indecisi e astensionisti ad oltre il 40%.
Da parte dei due schieramenti di centrodestra e centrosinistra, a persistere nei prossimi mesi, sarà perciò rovente la campagna elettorale con la (comune) mission di trovare sponde moderate per governare il consenso del centristi sia per crescere alle Europee quanto in patria, più facile a dirsi che a farsi in quanto questo “oggetto del desiderio” è rappresentato una anomala fascia di votanti che a differenza di altri guarda sopratutto ai fatti, non è legata ideologicamente e non si è mai “avvicinata” ad alcuno per proposte di schieramento o nel merito e benchè meno “abbagliata” da leadeship del momento, ben sapendo che ognuna di essi ha i suoi peccati.
Da ciò il passo è breve dall’ipotizzare i centristi verso una stagione di “liberi e forti” senza lacci&legacci con alcuno e così presi tanto da valori della Costituzione social-repubblicana quanto da quelli ispirati a insegnamenti meno laici espressi dal variegato mondo delle liste civiche, anche del terzo settore, finanche quelle del mondo cattolico che conta percentuali di votanti in doppia cifra stimati in diverse decine di milioni che non rimpiangono la Dc pur credendo nel pluralismo e sempre alla ricerca di quella unità di intenti che finora non c’è stata, quasi a far dire agli interlocutori più critici che le loro politiche siano poggiate su basi fragili e poco credibili, simili più a quelli un partitino radicale del 2% che non a quelle di un partito riformista ed europeista a cui dicono volersi ispirare e che motiva delusi e astensionisti.
(Giuseppe Vassura)