I trattori che nelle ultime settimane hanno riempito le strade d’Europa non sono solo il segnale di una categoria scontenta, ma anche il sintomo che qualcosa si sta inceppando. Questo movimento multiforme non è infatti solo un’opposizione degli agricoltori alle misure ambientali.

Sono anni che le aziende agricole ed europee sono vittime di una crisi del reddito, che erode progressivamente il loro margine di guadagno. I prezzi di importanti prodotti agricoli, come i cereali, il latte e la carne, sono sostanzialmente stabili da decenni, mentre i costi stanno aumentando e nella filiera agroalimentare la fetta destinata al reddito agricolo diventa sempre più sottile.

È inaccettabile, ad esempio, che le mele della Val di Non vengano pagate nel migliore dei casi 50 centesimi al produttore e nei supermercati invece sfiorino i 3 euro. Le grandi catene di distribuzione non possono riempirsi le tasche e lasciare agli agricoltori le briciole.

Si tratta di un problema che richiede soluzioni coraggiose e un cambio di rotta, che metta l’agricoltura al centro e non ai margini del nostro modello di sviluppo nel continente. Questa è la visione che io e il mio gruppo politico – il Partito Popolare Europeo – promuoviamo da sempre in Parlamento e che negli ultimi anni ci siamo ritrovati a difendere da soli.

La pandemia, la guerra in Ucraina e la crisi climatica hanno posto ulteriori sfide a chi fa agricoltura. È nell’interesse degli agricoltori lottare con misure intelligenti e concrete contro il riscaldamento globale, dato che sono i primi a esserne vittima. Allo stesso tempo, anche la questione dell’adattamento ai cambiamenti climatici che non potremo evitare è molto importante e rappresenta uno scenario a cui gli agricoltori devono prepararsi.

Pochi lo mettono in discussione. Al contrario, a sollevare molteplici critiche, a mio avviso giuste, è l’approccio ideologico e totalmente incurante dell’agricoltura con cui l’ex Commissario incaricato del Green Deal, il socialista olandese Frans Timmermans, ha cercato di far passare alcune leggi.

In particolare, un fronte che unisce sinistra, ecologisti e frange di liberali ha cercato d’imporre due misure che io e il mio gruppo politico ci siamo impegnati a rendere più pragmatiche e attente alle conseguenze per il mondo agricolo. Sto parlando della cosiddetta “legge sul ripristino della natura”, che puntava a lasciare incolte fette di terreni agricoli, e della proposta di regolamento che chiedeva la riduzione del 50 per cento su tutti i fitosanitari chimici, senza avanzare alternative.

Noi del Partito Popolare Europeo abbiamo insistito con successo per far passare una linea più realista. Il regolamento sul ripristino della natura è stato reso molto più pragmatico. Per quanto riguarda i fitosanitari, dopo che la proposta è stata bocciata in Parlamento europeo, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ne ha addirittura annunciato il ritiro.

In questo contesto, il dialogo strategico con gli agricoltori europei, promesso da von der Leyen nel suo discorso sullo stato del’Unione in settembre, è ormai una necessità improrogabile. Servono azioni concrete e rapide. L’impegno della Commissione a derogare nel 2024 all’obbligo di lasciare incolto il 4 per cento dei terreni destinati a seminativi va nella giusta direzione. Ma non basta.

Io e il mio gruppo politico abbiamo lavorato durante tutta la legislatura per promuovere un’agricoltura più sostenibile, non solo dal punto di vista ecologico ma anche e soprattutto da quello economico. A questo proposito, le richieste degli agricoltori di salari migliori sono legittime e vanno ascoltate.

Il campo politico che la pensa come Timmermans deve smetterla di girarsi dall’altra parte e cominciare a riconoscere che la sfida della sostenibilità richiede agli agricoltori investimenti e innovazioni importanti.

Per noi del Partito Popolare Europeo questo è evidente dall’inizio. Ci battiamo per un’Unione europea che non lasci soli gli agricoltori in questa sfida. Essi vanno sostenuti, non solo perché sono tra i più colpiti dalle conseguenze del riscaldamento globale, ma anche e soprattutto perché essi sono attori di prim’ordine in questa sfida.

Per noi, la politica deve avere la lungimiranza d’intervenire, sia adottando norme capaci di sbloccare l’innovazione sia migliorando le politiche di finanziamento.

In gioco è il futuro del continente, non di una categoria.

(Herbert Dorfmann, Europarlamentare Ppe)