Siamo agricoltori e agricoltrici che ritengono ineludibile una revisione strutturale della Politica Agricola Comune approvata nel 2023.
Alla base dell’architettura verde della nuova PAC c’è la malcelata idea che l’agricoltura non sia sostenibile dal punto di vista ambientale ma il settore primario è l’unico, al contrario, veramente interessato alla tutela delle risorse non rinnovabili da cui trae la propria capacità di crescita.
La nuova Pac ha determinato una sostanziale dimezzamento dei contributi erogati e con l’introduzione della condizionalità rafforzata, spinge le aziende agricole fuori dal meccanismo degli aiuti: le nuove norme e la burocrazia crescente stanno, in sostanza, “uccidendo le aziende”. Sono i numeri a raccontare la crisi come afferma il Crea : “Il 2023 si conclude con stime produttive insoddisfacenti per numerosi comparti agricoli e questo dopo la campagna 2022, una delle peggiori degli ultimi venti anni sotto il profilo produttivo. Il settore produce mediamente il 10 per cento in meno di quello che produceva venti anni fa, con buona pace di progresso tecnologico e sostegno pubblico. La crisi produttiva dell’agricoltura italiana è particolarmente preoccupante perché si sta riducendo il potere contrattuale delle imprese agricole.”
Il vero problema è che, a livello comunitario, stiamo scontando gravi ritardi sulla ricerca in campo genetico, rallentando in questo modo i più elementari processi di adattamento scientifico ai cambiamenti climatici. A questo grave errore, che ha colpito in primo luogo i nostri centri di ricerca pubblici regalando il monopolio alle multinazionali, si affianca la scelta scellerata di darsi obiettivi fissati senza un approccio ragionato e orientato alla crescita come una riduzione sic et simpliciter del 50% fitofarmaci e concimi.
I dati parlano da soli e il rischio che corriamo è un progressivo e inesorabile abbandono delle campagne e una rapida sostituzione dei coltivatori diretti con fondi d’investimento internazionali che usano le nostre campagne per fini puramente speculativi.
Il nostro continente è affetto da un’insolita sindrome di NIMBY (Not in my backyard) – letteralmente non nel mio cortile e quindi territorio – che ci porterà a vedere intere aree rurali abbandonate e trasformerà l’Europa in una grande piattaforma di distribuzione di cibo coltivato a decine di migliaia di chilometri da noi. Bisogna smettere di considerare le imprese agricole come nemiche dell’ambiente ma deve nascere la consapevolezza che per ogni chilo di prodotto che non sarà più coltivato nei Paesi europei ce ne saranno altrettanti che verranno importati da altri continenti con standard di sostenibilità più bassi dei nostri. Da parte degli agricoltori non c’è nessun rifiuto all’apertura verso mercati internazionali ma non possiamo che rivendicare un sano principio di reciprocità che deve essere garantito sin dall’origine. Non possiamo applicare nei paesi membri dell’Unione rigidissime regole e non preoccuparci di come viene prodotto il cibo importato, perché in questo modo si rischia il medesimo paradosso degli Ogm: “Non posso coltivarli in Europa ma, sempre in Europa, posso mangiarli”.
La mobilitazione tedesca, olandese, francese sta facendo capire che la misura è colma.
Aumentare ulteriormente gli standard di sostenibilità, spingerebbe la produzione agricola a riorganizzarsi altrove, in particolare, in quelle aree del globo con sistemi normativi e di controllo più deboli. Si arriverebbe così a una sorta di delocalizzazione dell’inquinamento che produrrebbe inevitabili rischi per la salute dei consumatori.
La possibilità di trovare residui vietati o oltre i limiti in prodotti provenienti da paesi extra Ue rispetto a quelli Ue risulta oggi, come certificato dall’EFSA, enormemente superiore.
Va sottolineato che la transizione ecologica dell’agricoltura europea non è mai stata ferma e ha fatto passi sempre più rapidi. Se analizziamo la categoria dei prodotti fitosanitari e dei biocidi vediamo che il loro consumo nel l’Est asiatico è a 12,6 Kg/ha, seguito dal Sudamerica (5,8 Kg/ha) e Nord America (2,5 Kg/ha). Il consumo più basso si registra in Europa con 1,6 Kg/ha.
L’unico antidoto al veder scomparire nel breve quel grande patrimonio alimentare, culturale e paesaggistico che è la nostra agricoltura è avviare una revisione sostanziale della Pac. Serve poi la chiara e concreta l’applicazione di nuove regole commerciali che consenta all’Europa di pretendere impegni etici e ambientali per i prodotti importati. Il tema della reciprocità degli impegni ambientali e sociali è cruciale affinché la lotta europea alla crisi climatica sia un successo e non si trasformi in un boomerang.
Gli agricoltori tedeschi hanno bloccato l’8 gennaio città e strade in tutto il paese, usando trattori e camion, per protestare contro i tagli ai sussidi, ma anche per denunciare l’insostenibilità dell’approccio comunitario sull’agroalimentare.
Per questo chiediamo come agricoltori e agricoltrici, come forza propulsiva del made in italy, come donne e uomini che amano la propria terra e il proprio lavoro di rivedere, sin dal 2024, l’impianto della nuova programmazione agricola comune e con essa l’OCM (organizzazione comune di mercato) che erroneamente premia la dimensione a discapito dell’efficienza. Negli anni questo sistema ha prodotto scarsa trasparenza e un aumento vertiginoso dei costi che sono stati scaricati sulla produzione. Per questo serve più elasticità per permettere agli agricoltori di scegliere le OP più virtuose e premiare quelle strutture che difendono la redditività dei produttori.
Chiediamo inoltre di eliminare, con effetto immediato, la norma che obbliga gli agricoltori a sottrarre il 4% dei terreni produttivi a quella di alimenti: il continente Europeo non può e non deve aumentare la propria dipendenza dall’estero nel pieno di continue crisi internazionali
Da ultimo facciamo appello a una grande mobilitazione di tutti gli agricoltori europei e chiediamo che le organizzazioni di rappresentanza riunite nel COPA costruiscano una nuova piattaforma comune con l’obiettivo di rivedere da subito l’impianto della nuova Pac.
Senza sostenibilità economica non vi può essere sostenibilità ambientale, senza agricoltori non c’è cibo, senza agricoltura non ci sarà tutela del paesaggio, della biodiversità e difesa dell’ambiente.
Il settore primario deve tornare al centro dell’interesse delle istituzioni, devono essere abbandonate le teorie accusatorie e si deve tornare a dare speranza a quei milioni di agricoltrici e agricoltori europei che rivendicano rispetto e diritti anche perché senza agricoltori morirebbe economicamente la parte più significativa delle aree rurali ed interne del paese.
Seguono 77 firme
P.S. PER ADESIONI SCRIVI “ADERISCO” INVIANDO UNA MAIL A [email protected]
Le contestazioni degli agricoltori sono numerose, ma per certi versi confuse:
Il 69,89% della frutta campionata nelle analisi ufficiali contiene residui, con il 50,28% che presenta residui di più sostanze. Il record va a un campione di pesche e uno di fragole ambedue di produzione italiana con residui di 14 e 12 sostanze. Lo stesso vale per il 31,47% degli ortaggi (il 13% con residui di più sostanze).Presenta residui anche il 36,22% dei prodotti trasformati (16,76% multiresiduo). Contengono residui di almeno una sostanza l’84,97% delle pere, l’83% delle pesche, l’80.67% delle mele il 73.17% dell’uva. Residui anche nel 51.13% del vino.
Vogliamo parlare delle ispezioni dell’INPS? Su 142.385 aziende agricole 99.086 son risultate irregolari; il 69.6%, 356.145 lavoratori irregolari e 41.544 totalmente in nero.
Non parliamo poi del fatto che è l’unica categoria che non paga Irpef, IMU, ecc….