In una pubblicazione di qualche anno fa dedicata a Luigi Sassi, primo Sindaco di un’amministrazione democratica e socialista a Imola, citai questo moto che coinvolse Dozza e fu l’ultimo moto mazziniano: il 24 marzo 1870 una colonna di una settantina di giovani si mosse da Imola ed occupò Dozza; poi puntò su Bologna, ma la marcia durò poco, a Castel San Pietro i congiurati dovettero sciogliersi perché non trovarono ulteriori adesioni e quelle esistenti non sarebbero bastate. Si tratta di un fatto pressoché sconosciuto.

Dozza

È invece assai famoso il moto di Bologna del 1874 organizzato da Andrea Costa e Bakunin, quando da Imola marciarono sul capoluogo circa 150 anarchici, repubblicani, ex garibaldini.
Indubbiamente quello di Dozza fu un evento “minore”, ma importante per la realtà del territorio di Imola ed emblematico di quella tendenza al “fare”, ad “agire”, tipica dei repubblicani, degli anarchici, dei socialisti costiani della Romagna del tempo.

Il contesto generale e la rottura tra Mazzini e Garibaldi

Il 1870 fu un anno decisivo per le sorti del movimento dei lavoratori e per l’Italia in generale: in Europa era in corso la sanguinosa guerra franco-prussiana che ebbe come conseguenza la Comune di Parigi, primo esempio di una forma-stato alternativa a quelle monarchico-reazionarie dell’epoca.
Questa segnò anche la fine della Prima Internazionale che univa i seguaci di Marx, di Mazzini e tanti altri, poiché in seguito a tale evento quei due si divisero e l’Internazionale entrò in crisi. Marx e Bakunin avevano concordato che il russo si sarebbe adoperato in Italia per cercare adesioni alla Internazionale e per scalzare la predominante influenza di Mazzini.
Si formarono così in Italia i primi gruppi di orientamento anarcoide sulle direttive del russo, tra i quali emersero Carlo Cafiero e Andrea Costa.

La netta divisione tra marxisti, anarchici e mazziniani avvenne dopo il 1871 causa il differente giudizio sull’esperienza della Comune di Parigi: Mazzini condannò l’insurrezione parigina vedendo in essa la negazione dell’idea di nazione, Marx non era entusiasta della vicenda, ma la difese, così come Garibaldi, Bakunin la indicò come vero e proprio modello di rivoluzione antiautoritaria, libertaria e federalista. Nell’aspra polemica che ne seguì numerosi mazziniani presero posizione a favore di Bakunin, specie molti giovani romagnoli che affluirono nei nascenti gruppi internazionalisti anarchici.

Pietro Barsanti

Ci fu anche un fatto di estrema rilevanza per l’intero paese, la “presa” di Roma: Mazzini, che era al corrente dei piani dei Savoia al riguardo, voleva anticipare la monarchia, così nel 1870 promosse diverse insurrezioni.

Pietro Barsanti (foto Wikipedia)

Tra le più note vi fu quella di Pavia dove un gruppo di repubblicani assaltò una caserma: il caporale Pietro Barsanti, militare in servizio, ma di orientamento mazziniano, rifiutò di reprimere i rivoltosi. Arrestato e negatagli la grazia del Re, Barsanti fu fucilato tra numerose polemiche e fu considerato dalle forze repubblicane e di sinistra il primo martire della Repubblica Italiana.

Moti mazziniani, moti anarchici: Filadelfia

Qualche mese prima della breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870, Mazzini tentò di anticipare i progetti dei Savoia su Roma per farne una repubblica autonoma dalla quale dirigere un moto insurrezionale che avrebbe dovuto coinvolgere tutta la penisola.

Stemma del comune di Filadelfia in Calabria

Il piano fu sventato grazie alle informazioni raccolte dalle spie e Mazzini ripiegò su un moto in Calabria che avrebbe dovuto dare il via alla rivoluzione in tutta la penisola, ma in agosto venne arrestato a Palermo.

In quei mesi, tuttavia, vi fu un’esperienza significativa: la Repubblica di Filadelfia.

Represso il brigantaggio con dure rappresaglie, il malcontento delle popolazioni del Sud non scomparve in quanto rimanevano le cause che lo avevano determinato.
Un ultimo sussulto di protesta contadina e di opposizione al nuovo governo piemontese ci fu appunto con la “Repubblica di Filadelfia”.

Nei giorni 6 e 7 maggio 1870 in un’ampia zona che abbracciava i comuni di Maida, Cortale, Curinga e Filadelfia e altri centri dei distretti di Nicastro e di Monteleone, scoppiò un moto rivoluzionario mazziniano, ma con risvolti bakuninisti, con lo scopo di instaurare la Repubblica.
La rivolta fu guidata dall’avvocato Giuseppe Giampà, già garibaldino, direttore del giornale “La luce calabra”, mentre capo militare delle forze repubblicane era un figlio di Garibaldi, Ricciotti.

L’epicentro fu il comune di Filadelfia, con massiccia partecipazione contadina e operaia: fallì a causa dell’intervento dell’esercito che sparò contro la gente, tra cui i fedeli che rientravano dalla messa mattutina, ci furono dei feriti (tra cui 7 donne) e anche due morti, un muratore di 43 anni (Michele Serraino) e un giovane contadino di 19 anni (Vincenzo Dastoli), mentre parecchi contadini furono arrestati.

La Romagna ed Imola, la Squadrazza

In Romagna oltre al mazzinianesimo era diffuso un “garibaldinismo” senza chiare distinzioni politiche, caratterizzato dall’aspirazione ad un generico progresso sociale, ispirato al generale che appariva “socialisteggiante” nelle sue prese di posizione.

Sul piano locale qui da noi c’erano precedenti inquietanti, faccende a cavallo tra la criminalità comune e la protesta politica.
A Imola nel 1864 era avvenuto un grave fatto di sangue, il 25 marzo fu assassinato nel portichetto della farmacia dell’ospedale in pieno centro il Sottoprefetto Giambattista Murgia, al culmine di una serie di delitti perpetrati da una banda tristemente nota come la “Squadrazza imolese” o “Società dei malfattori”, la quale negli anni fu ritenuta responsabile di una trentina di omicidi: i suoi vertici furono arrestati e condannati nel 1866.
Il confine tra la criminalità comune e la critica al nuovo Stato non era ben definito, a ogni buon conto era un chiaro esempio del clima “difficile” presente in città in quegli anni,

La “Rivolta delle carrozze”

Ci fu infatti pure un fatto curioso, la cosiddetta “rivolta delle carrozze”, dettagliatamente riportato dalle cronache del tempo.

Carroza (Foto di Marion Winkels da Pixabay)

Nella prima domenica di quaresima, il 14 febbraio 1869, giornata di festa nella quale tantissimi cittadini erano per le strade, erano partite grida sediziose, “evviva a Mazzini e Garibaldi” e “abbasso la monarchia”, da parte di giovani che si facevano scarrozzare in lungo e in largo per la città ed eccitavano la popolazione, per cui alla fine due compagnie di granatieri e una folla eccitatissima si fronteggiavano pericolosamente: il giovane Sindaco Codronchi con un intervento autorevole che dimostrò il suo notevole carisma, riuscì a evitare che si spargesse sangue, come purtroppo era invece accaduto in altre parti del paese.

Repubblicani ed Internazionalisti ad Imola

In quegli anni erano presenti a Imola diversi gruppi repubblicani, tra i quali la Società del Progresso, la Società dell’Alleanza, la Società del Buon Volere, l’Emancipazione e la Società della Pianta, la più turbolenta, chiusa all’indomani del fallimento del moto insurrezionale di Bologna del 1874 a cui la società aveva partecipato.

Le osterie erano i luoghi della politica per gli strati popolari che non avevano a disposizione ancora sedi proprie: a Imola quelle di Pincì, La Campana, Sacchi, La Forchetta, l’Angelo, Il Cappello, Il Gallo, La Nuova e La Reggia erano frequentate principalmente dai repubblicani; Il Vaino, Cipolloni, Carmeli, La Pigna, Il Razzadore e Il Bel Bocchino dagli internazionalisti, come ha ben documentato Venerio Montevecchi nel suo libro sulle osterie.

Antonio Cornacchia e Luigi Sassi

Quei due furono capi carismatici degli internazionalisti e dei repubblicani imolesi. Non sappiamo se abbiano partecipato o meno al moto di Dozza, che del resto si concluse in una specie di scampagnata, con però l’occupazione del municipio del piccolo comune.

Il libro di Marco Pelliconi su Luigi Sassi

Rimane la forte impressione che a noi moderni può fare il pensare di partire a piedi da Imola verso Bologna con l’intento di “fare la rivoluzione” e occupare il capoluogo, nella speranza che le masse insorgessero al loro arrivo: occorrevano convinzioni radicate e una spinta ideale molto forte per far sì che decine di giovani affrontassero tale avventura.

Purtroppo, nonostante il diffuso malcontento, tali gruppi erano abbastanza isolati e preda di visioni utopiche.

Lapide di Gualandi Andrea (foto da anpiimola.it)

Segnaliamo qui che la famiglia Gualandi, quella dei due eroi della Resistenza, era originaria di Dozza e che un Gualandi di Dozza partecipò al successivo rivoluzionario “moto del Matese” del 1877 di cui abbiamo trattato parlando di Francesco Ginnasi.

È in tale contesto sociale e politico, articolato ed un poco confuso, ma denso di fermenti e attività, che si inserisce il “moto di Dozza”, anch’esso indubbiamente emblematico della caratteristica del “fare” tipica di Imola e della Romagna che, non dimentichiamolo, a Ovest finisce proprio a Dozza, il fiume Sillaro ne segna i confini, in qualche modo forse anche politici.

(Marco Pelliconi)