Da circa dieci anni i figli stanno crescendo meno “intelligenti” dei genitori: non era mai successo prima. Il grido d’allarme è di Christophe Clavè, laurea a Sciences-Po (Parigi), docente all’Institut des Hautes Economiques et Commerciales di Bordeaux.
Il quoziente intellettivo (il mitico Q.I.) medio della popolazione mondiale sta diminuendo: una delle probabili cause potrebbe essere l’impoverimento del linguaggio.
La graduale scomparsa dei tempi verbali (congiuntivo, imperfetto, forme composte del futuro, participio passato) dà luogo a un pensiero quasi sempre al presente, limitato al momento, alimentato anche dalla fruizione massiccia dei “social”, che hanno ridotto drasticamente la capacità di attenzione delle persone.
Siamo tutti concentrati sul “qui ed ora”, incapaci di guardare avanti nel tempo.
Meno parole e meno verbi coniugati implicano meno capacità di esprimere le emozioni e meno possibilità di elaborare un pensiero.
Gli studi hanno dimostrato come parte della violenza nella sfera pubblica e privata derivi direttamente dall’incapacità di descrivere le proprie emozioni attraverso le parole: quando ti mancano i vocaboli per spiegarti e per avere dialogare, può succedere di ricorrere alla violenza fisica.
Un esempio correlato a questo è la motivazione che gli psicologi danno di una certa aggressività dei bambini nella fase in cui non hanno ancora iniziato a parlare con una proprietà di linguaggio: i sentimenti che hanno dentro, non potendo uscire a parole, generano comportamenti irruenti.
Più povero è il linguaggio, più il pensiero scompare.
La storia è ricca di esempi e molti libri (due pietre miliari: 1984, di George Orwell e Fahrenheit 451, di Ray Bradbury, da cui venne tratto un bel film del 1966 diretto da François Truffaut con Julie Christie) hanno raccontato come tutti i regimi totalitari abbiano sempre ostacolato il pensiero, attraverso una riduzione del numero e del senso delle parole.
Coloro che affermano la necessità di semplificare l’ortografia, sfoltire la lingua dai suoi “difetti”, abolire i generi, i tempi, le sfumature, cioè tutto ciò che crea complessità, sono i veri artefici dell’impoverimento della mente umana, per confermare il pensiero di Christophe Clavè.
Non c’è bellezza, senza il pensiero della bellezza.
Un consiglio e un impegno su cui possiamo riflettere: facciamo parlare, leggere e scrivere i nostri figli, i nostri studenti, insegniamo e praticare la lingua nelle sue forme più diverse.
Forse ci sembra complicato e probabilmente lo è: ma in questo sforzo c’è la libertà.
(Tiziano Conti)