Quando si esce dalla sala di “Food for profit” lo stomaco è stretto come un gomitolo di lana. Diventa più difficile mettere allegramente nel carrello della spesa la confezione dei wurstel e le due fettine di pollo adagiate nella vaschetta di plastica, ma qual è l’alternativa?
Esistono ancora persone disponibili a fare la vita del pastore e allevare il bestiame al pascolo? E che senso ha quella vita?
Probabilmente sono queste le domande che hanno convinto la giuria della 72esima edizione del Trento Film Festival ad assegnare la Genziana d’Oro miglior film a “Un Pasteur” del francese Luis Hanquet, al suo primo lungometraggio documentario (”I lupi sono i pastori dei pastori. Ricordano loro che devono proteggere il gregge e che gli animali non sono solo risorsa da sfruttare” (Leggi l’articolo de L’AltraMontagna – ildolomiti.it)
Felix, è un giovane pastore che prima dell’estate deve portare il suo gregge a cercare i pascoli in alpeggio. In solitaria percorre più di duecento chilometri nelle Alpi dell’Alta Provenza per raggiungere la valle dell’Ubay. Lui, le pecore, i suoi fidati cani e gli animali che popolano quei luoghi. E in mezzo alle rocce deve convivere anche con il lupo.
La scrittura e la lettura sono gli unici passatempi possibili. Il suono dei campanacci, il fruscio del vento e la musica contemplativa della colonna sonora ci immergono in una vita sospesa dove il silenzio della sera porta a sfogliare le poesie di Fernando Pessoa.
La vita di Felix è la testimonianza fisica della storia millenaria dei popoli di montagna ma il modo in cui affronta la solitudine è estremamente contemporaneo.
La fotografia del giovane regista, cresciuto tra Parigi e il sud ovest della Francia, è impeccabile. Assolutamente da vedere.