Goletta Verde, lo storico veliero di Legambiente che dal 1986 monitora lo stato di salute dei mari italiani, quando salpa per Rimini affronta la sua tappa adriatica più importante. In quel territorio, infatti, si concentrano le più grandi contraddizioni ambientali del paese.
Sulla costa romagnola è insediato uno dei più significativi bacini turistici italiani, proprio dove il Po sfocia in mare, dopo aver raccolto i rifiuti della più grande concentrazione industriale italiana, di quella zootecnica (secondo i dati più recenti forniti dall’Istat nelle regioni padane si concentrano il 67% dei bovini e il 90% dei suini allevati in tutta Italia) e quella di una agricoltura intensiva che fa uso massiccio di fertilizzanti (per l’azoto rappresenta il 62% e per il fosforo il 58% del dato nazionale)
Fu durante le grandi eutrofizzazioni degli anni ’80 che un importante movimento per la salvezza dell’Adriatico strappò la legge che eliminava il fosforo dai detersivi, individuato come responsabile dell’anomalo sviluppo di micro alghe, che degradandosi azzerano l’ossigeno in mare. È interessante ricordare che le industrie dei detersivi si opposero alla legge con pubblicità a reti unificate che ammoniva: donne (guarda caso proprio loro) senza fosforo sparirà il bianco dai vostri bucati. Quasi gli stessi toni usati oggi dalle imprese fossili contro le rinnovabili. Tutto però si fermò lì e del progetto di ridurre, i nutrienti, provenienti da allevamenti e agricoltura intensivi, si smise di parlare.
Quest’anno il viaggio di Goletta Verde ha qualche intento in più. Vuole verificare quanto è stato fatto per mettere in sicurezza la popolazione a poco più di un anno dall’alluvione che colpì la Romagna e accertare se si intende far passare l’Emilia Romagna dall’uso delle fonti fossili a quelle rinnovabili e da gran consumatrice di energia a risparmiatrice.
Durante la navigazione sorprendono i colori anomali del mare. Sull’azzurro prevalgono larghe chiazze verdi-marrone, striate di bianco: è la mucillaggine. Anni di ricerche hanno stabilito che non ha origine antropica, ma è un fenomeno naturale, secrezioni di micro alghe, teoricamente non pericolose per la salute. Rispetto ai parametri di legge sulla balneazione, tuffarsi è possibile, ma in un mare orribile e forse frequentabile solo da chi è più incosciente. Sono state viste dalle coste pugliesi, lungo un ampio tratto del mare. Mucillaggini a parte i risultati dei prelievi sulla balneabilità sono confortanti: su 11 punti campionati in questo tratto di costa, solo 2 sono risultati inquinati. Insomma il sistema fognario e depurativo di costa ha retto, ma ciò non toglie che il mare, che i dati dicono pulito, fa veramente schifo.
La stagione turistica non è messa a rischio solo dalla mucillaggine, ma anche da ciò che hanno lasciato le alluvioni che poco più di un anno fa colpirono la Romagna. La costa fu meno coinvolta e quindi è stata ripulita. Meno agevole è stato liberare da fango e detriti i meravigliosi paesi e città che le sorgono intorno, né rimettere a posto le colline colpite da 800 frane. Lavori in corso dunque, ma sarebbe azzardato dire che Il territorio sia pronto, non tanto per ospitare turiste/i, ma per reggere ad una più che possibile nuova bomba d’acqua.
In Emilia Romagna si consuma, costruisce, asfalta, erode ad un ritmo tale per cui ogni pioggia, eccezionale o modesta che sia, produce sempre il massimo dei danni.
Nonostante i buoni propositi della legge urbanistica regionale prosegue il consumo di suolo. I numeri forniti nell’ultimo report dell’ISPRA del 2023 dicono che l’Emilia Romagna è la quarta regione in Italia per consumo di suolo netto, sopra la media dell’8% degli ultimi sei anni, sebbene un disaccoppiamento con le dinamiche demografiche.
Entrando nel porto di Rimini si intravede la spiaggia completamente ricoperta da file fittissime di ombrelloni, sdraio e lettini multicolori. Una immagine che fa apparire ridicolo il concetto di demanio, di bene comune come dovrebbe essere un arenile.
É una fotografia perfetta del turismo che ha preso piede in Italia, che invade coste e città, quello del “tutto incluso” compresa la devastazione ambientale.
Più a fondo si guarda e più si coglie la dimensione dei cambiamenti necessari a questa regione e al Paese per vincere la sfida del cambiamento climatico.
Cosa bisognerebbe fare subito è noto, ma non lo si fa: uscire dal fossile e progettare un nuovo modello energetico rinnovabile. Su questo punto proprio in Emilia Romagna si incontra una gran resistenza al cambiamento, sia della popolazione (comprensibile), sia di chi la governa, (inaccettabile). C’è la convinzione errata che il gas sia indispensabile per non perdere né occupazione, né la ricchezza di servizi energetici che sole e vento ancora non possono garantire. Così si giustifica il via libera al rigassificatore a Ravenna e al gasdotto che dall’Abruzzo arriverà in Romagna. Scelte però bilanciate dall’autorizzazione data a un importante impianto eolico a mare. Rispunta il concetto delle fonti rinnovabili compensative del gas, che resta il cuore del sistema energetico. Dovrebbe essere il contrario, visto che le rinnovabili hanno ormai raggiunto una piena maturità tecnologica e l’energia che producono costa poco.
Fatica a farsi largo la consapevolezza che quel modello energetico e di sviluppo sia stato la causa del finimondo di un anno fa, di questo alternarsi di ondate di calore e fenomeni metereologici estremi.
In Emilia Romagna fra qualche mese si voterà per il rinnovo del consiglio regionale. Legambiente ha incontrato il sindaco di Ravenna De Pascale, candidato per il centro sinistra al governo della regione. Cosa voglia Legambiente da lui, se sarà eletto, è chiaro. Non tutto e subito, ma due segnali che renderebbero chiara la direzione di marcia che intende dare alle politiche regionali: modificare la legge urbanistica, bloccando realmente il consumo di suolo; sviluppare le rinnovabili e il risparmio energetico, mettendo in discussione gasdotti e rigassificatori. Serve molto altro, ma se cominciasse così ci sarebbe un significativo cambio di rotta. Serve discontinuità con le politiche fin qui fatte, non tanto per guadagnare il consenso di Legambiente, ma per impedire il declino di questo territorio e soprattutto garantirgli un futuro gradevole.
(Massimo Serafini)