Venezia. E’ il giorno di Pedro Almodóvar alla mostra del cinema di Venezia. E si deve metter mano ai fazzoletti. Presenta in concorso “The room next door”, con Tilda Swinton e Julianne Moore. Accolto da un’ovazione in sala stampa spiega: “Per me è come cominciare una nuova era. Girare in inglese è come fare un film di fantascienza. Ho trovato l’ispirazione dalle pagine del libro “Attraverso la vita”, scritto da Sigrid Nunez. In particolare le pagine dove la protagonista va in ospedale a trovare l’amica. Non è un’analisi della società americana, ma conosco due donne come loro. La lingua estranea non è stata un problema, entrambe le attrici hanno capito il tono con cui volevo raccontare questa storia. Non melodrammatico. Il tema principale è vedere insieme queste due attrici. Sono stato fortunato”. Come sei riuscito a parlare della morte gli chiedono: “E’ difficile parlare della morte. Sono nato nella Mancha dove c’è una grande cultura della morte, soprattutto femminile. Io però ho una visione infantile della morte: non comprendo come qualcosa che è vivo debba morire.
Ogni giorno in più che passa è un giorno in meno da vivere, invece vorrei che ogni giorno fosse un giorno in più”. Nel film c’è l’autodeterminazione, una profonda amicizia e l’empatia. Ci sono due amiche Martha e Ingrid. Ingrid è una scrittrice di successo di autofiction. Alla libreria Rizzoli di New York si sottopone volentieri al rituale del firmacopie. Tutti i partecipanti alla presentazione andranno a casa con una copia autografate del volume. Il libro affronta il tema della morte. La scrittrice non accetta che ciò che nasce debba un giorno finire. La donna scopre per caso che Martha, sua grande amica in gioventù e stimata cronista soffre di un tumore ormai in fase terminale. La tragica situazione riunisce le due donne, che insieme affronteranno difficoltà e sofferenza. E comprenderanno che la morte non è la fine di tutto.
“Sono a favore dell’eutanasia. In Spagna c’è una legge a riguardo, ma ci dovrebbe essere ovunque. Il medico deve potere aiutare il paziente e l’opinione del medico è sufficiente”. Un Almodóvar politico definisce il suo film anche una risposta ai deliranti discorsi di odio, al no agli immigrati, soprattutto ai bambini, che vengono respinti in mare. Fa un cenno anche sulla questione del cambiamento climatico che “non è per niente uno scherzo”. La sofferenza del singolo è la sofferenza del pianeta. E il neoliberismo e l’estrema destra insieme innescheranno il conto alla rovescia, come avverte il personaggio di John Turturro nel film. Melodramma con due grandi interpreti, girato in interni che sono paesaggi dell’anima delle protagoniste. Forse qualche citazione di troppo, letteraria, pittorica, cinematografica, ma un film nitido e rigoroso. Dovrebbe essere in sala nel 2024.
C’è anche il secondo film italiano in concorso “Vermiglio” di Maura Delpero. Si racconta un intero anno, con il passaggio di ogni stagione in un paesino del Trentino, Vermiglio appunto, circondato da alte montagne, nell’ultimo periodo della seconda guerra mondiale. E’ la storia di una intera famiglia, quella del locale maestro di scuola, che perderà la pace in un momento in cui il resto del mondo la ritrova. Il film è corale ma esiste una trama principale: il giovane soldato siciliano di nome Pietro (interpretato da Giuseppe De Domenico) porta il suo compagno ferito, Attilio, fino alla sua casa di montagna. Pietro viene inizialmente accolto come un eroe, ma nel piccolo paesino arrivano ben pochi forestieri, inoltre il nuovo arrivato è siciliano, dunque viene visto come “straniero”. Il ragazzo attirerà le attenzioni di Lucia (Martina Scrinzi), la figlia maggiore del maestro del villaggio (Tommaso Ragno). I due si innamoreranno, scatenando però una sfilza di eventi che scuoteranno sia il villaggio di montagna che una piccola città in Sicilia. Nel cast anche Roberta Rovelli, Sara Serraiocco. La regista è partita da un sogno, quello del padre scomparso, che le è apparso come un bambino di sei anni nella sua casa d’infanzia a Vermiglio appunto.
Per alcuni critici agli spunti interessanti come il tema del dominio patriarcale surclassato dalle donne, le radici, la scoperta del mondo, il punto di vista dei bambini, vengono resi meno approfonditi da una messa in scena poco naturale. Gli attori agiscono non riuscendo a riempire gli spazi vuoti ed il verismo che vorrebbe rappresentare la vita e i ritmi di questo piccolo paesino, pare perdersi in gesti e lentezze meccanici. Per altri invece risulta un’opera già matura della regista, alla sua seconda prova dopo “Maternal”, con ottimi attori, mirabile poesia. Un film che divide. Sarà in sala dal 19 settembre distribuito da Lucky red.
(Caterina Grazioli)