Nel mese di maggio 2023, in particolare nelle giornate dall’1 al 3 e successivamente dal 15 al 20 maggio, precipitazioni di straordinaria intensità hanno interessato gran parte dell’Emilia-Romagna. Su una porzione di territorio di 16 mila chilometri quadrati si sono rovesciati in 80 ore 4,5 miliardi di metri cubi d’acqua. Sono esondati contemporaneamente 23 fiumi e corsi d’acqua e altri 13 hanno superato il livello di allarme. In Appennino si sono verificate 80.000 frane – 1047 le principali – molte di nuova attivazione. 772 le strade danneggiate. Il 20 maggio risultavano sfollate 36 mila persone, costrette a lasciare la propria abitazione.
Si è trattato di uno degli eventi più catastrofici a livello mondiale del 2023.
Gli impegni presi dal Governo
All’indomani dell’alluvione, tutti gli esponenti del Governo – a partire dalla premier Meloni – sono venuti in Romagna, promettendo sia il 100% degli indennizzi a famiglie e imprese, sia la completa ricostruzione pubblica.
Quindi bene, apparentemente…
La scelta del governo di separare emergenza e ricostruzione
Dopo l’alluvione, si è dovuta attendere la nomina di un Commissario per la ricostruzione: per la prima volta, infatti, il Governo ha deciso di separare la gestione dell’emergenza (in capo alla Protezione civile, col presidente della Regione Commissario) da quella della ricostruzione.
Questa scelta, già discutibile in sé – a maggior ragione per un’alluvione – ha prodotto l’effetto di perdere prima due mesi per la nomina del nuovo Commissario (14 luglio 2023), poi altri due mesi per il passaggio di consegne tra le due gestioni (due catene di comando differenti, due contabilità differenti, due normative differenti). Così facendo, dunque, si sono persi quattro mesi primaverili ed estivi che sarebbero stati preziosi per i lavori in somma urgenza.
La scelta del Governo di concentrare i poteri della ricostruzione a Roma
Contrariamente a quanto avvenuto per il sisma 2012 e diversamente da quanto richiesto da tutti i sindaci, presidenti di provincia, associazioni economiche e organizzazioni sindacali, il Governo ha scelto di concentrare tutti i poteri e le decisioni in una figura commissariale e in una struttura commissariale a Roma, quella del gen. Figliuolo e dei militari. Risorse, procedure e decisioni per la ricostruzione sono interamente nelle mani del Commissario, non della Regione o degli Enti locali.
Sbagliato il raffronto più volte fatto da esponenti di centrodestra con il presunto precedente del sisma dell’Italia centrale: in quel caso il commissario coordina le attività delle diverse regioni, i cui presidenti sono designati non a caso come vicecommissari; in Emilia-Romagna, viceversa, il presidente della Regione è sub-commissario, senza ruolo operativo.
E’ paradossale e vergognoso che, dopo aver compiuto questa scelta contro tutto e tutti, oggi il Governo e gli esponenti della destra tentino di scaricare le responsabilità e i problemi sul territorio e sugli amministratori locali.
Il quadro delle risorse
Certificata dal Dipartimento nazionale della Protezione civile e dal Governo, la stima dei danni è risultata pari a 8,5 miliardi di euro.
Ad oggi il Governo ha reso disponibili:
– 2,828 miliardi di euro per la ricostruzione pubblica: 2,5 miliardi di euro (dal Dl 61 in poi) + 328 milioni di euro del FSUE.
– 1,9 miliardi di euro per la ricostruzione privata (al momento attivati i primi 600, gli altri fermi col credito d’imposta).
La ricostruzione pubblica
Per gli interventi in somma urgenza il Commissario ha riconosciuto le risorse per i lavori realizzati da Comuni, Province, Regione, ecc. Per gli altri interventi urgenti ha emesso successive ordinanze. Ad oggi risulta esaurita la disponibilità finanziaria del Commissario rispetto alla ricostruzione pubblica, per un totale impegnato di circa 2,7 miliardi di euro (a fronte di una disponibilità di 2,828 miliardi).
Comuni, Province e Regioni, contrariamente da quanto affermato da Musumeci, Bignami e altri esponenti della destra, non solo stanno realizzando i lavori (nei limiti degli stanziamenti assegnati), ma li hanno già impegnati tutti! Per questo è indispensabile che Governo e Parlamento stanzino con la prossima legge di bilancio ulteriori risorse per la ricostruzione pubblica, che altrimenti si fermerà agli interventi realizzati o in corso.
La polemica circa il tiraggio delle risorse è totalmente strumentale: chiunque si occupi di lavori pubblici sa che le liquidazioni per i lavori avvengono per stati di avanzamento e, al termine, dopo il collaudo, con la rendicontazione; il monitoraggio finanziario indicato da alcuni esponenti di Governo è quindi totalmente incongruo rispetto al reale stato di avanzamento dei lavori stessi.
Perché quindi polemizzano? Per scaricare le responsabilità sul territorio (Regione e Comuni), per sciacallaggio politico in vista delle imminenti elezioni regionali, perché non riescono a trovare ulteriori risorse da mettere nella legge di bilancio-
Il penoso capitolo Pnrr
Nel gennaio 2024 il Governo ha scelto di definanziare tutti gli interventi contenuti inizialmente nel Pnrr per il dissesto e di destinare queste risorse alla ricostruzione post alluvione dell’Emilia-Romagna. L’annuncio è stato fatto in pompa magna da Meloni e Von der Leyen in un evento pubblico a Forlì esattamente otto mesi fa.
Male per il Paese, bene per la Romagna, si potrebbe dire…
Ma non appena viste le carte – sono occorsi alcuni mesi perché dall’annuncio si passasse ai decreti – si capì subito che la scelta era un boccone avvelenato, per due motivi:
1) Non si tratta di risorse aggiuntive, che si sommano cioè ai 2,5 miliardi stanziati dal Governo per la ricostruzione pubblica, ma di risorse sostitutive! Parliamo infatti di una misura a rendicontazione (dell’Italia a Bruxelles). Quindi, una serie di interventi coperti prima con risorse dello stato, oggi possono essere rendicontati e ristorati dalla Commissione europea nell’ambito del Pnrr. E dopo che fine faranno i soldi di Bruxelles? E’ stata chiesta la garanzia che, una volta rendicontati gli interventi e ottenute le risorse da Bruxelles, il Governo non scippi i soldi alla Romagna (come già fatto col decreto 61/2023), ma che li riversi nella contabilità speciale della ricostruzione. Ad oggi non vi è stata nessuna risposta.
2) Trattandosi di Pnr, i soggetti attuatori (Comuni, Province, Regione, ecc.) sono costretti a rispettare tempi (giugno 2026), vincoli e procedure molto complessi. In sostanza, si chiede alla Romagna di spendere in meno di due anni quello che il Paese non era in grado di spendere in 5 anni! Pena la perdita delle risorse, scaricando la colpa su Regione ed Enti locali. Per questo è stato chiesto al Commissario di attivare soggetti attuatori “forti” – Sogesid, Anas, Rfi… – che affianchino e sostengano i Comuni (molti di questi piccoli e fragili, in particolare quelli di montagna). Le convenzioni sono state attivate, per i risultati staremo a vedere…
Tanto l’ordinanza relativa al Pnrr quanto quella che rimodula gli interventi sono però in attesa del parere della Corte dei Conti.
In attesa dei Piani speciali…
Definiti gli interventi più urgenti, è stata anche attivata la ricognizione e programmazione dei fabbisogni di medio-lungo periodo per la definizione dei piani speciali per la ricostruzione, come previsto dal D.L. 61/2023: opere pubbliche, beni culturali, opere per la difesa idraulica, viabilità, infrastrutture ambientali. L’obiettivo è quello di adattare e mettere in sicurezza il territorio rispetto ad eventi di questa inedita portata. In particolare, sul dissesto idrogeologico si è giunti all’approvazione di un piano speciale preliminare ad aprile 2024. Una prima stima dei fabbisogni ammonta a 5,7 miliardi di euro per i piani più strettamente correlati alle situazioni di dissesto idrogeologico; a tale prima stima vanno poi aggiunti gli oneri per l’adeguamento della compatibilità idraulica di una serie di ponti critici e per la riparazione definitiva di opere pubbliche, per un fabbisogno complessivo di oltre 7,5 miliardi.
Questa proposta organica è nelle mani del Commissario e del Governo: si attende un risconto. Se il piano non sarà tempestivamente approvato e finanziato, continueremo a riprodurre quello che c’è oggi: il semplice ripristino dei danni, ogni volta, senza un reale adeguamento dei bacini e delle infrastrutture. Che è esattamente quello che accade in questo Paese, dove le risorse non sono investite nella prevenzione ma nel ripristino delle stesse opere dopo i disastri.
Per legge, allo Stato spetta finanziare gli interventi di difesa del suolo, all’Autorità distrettuale (emanazione del Governo) pianificare, alla Regione programmare e realizzare gli interventi. Musumeci rivendica che lo Stato ha trasferito alla nostra Regione, negli anni, ben 584 milioni di euro a questo scopo. E ci chiede che fine abbiano fatto…
Quella è la cifra totale che è stata trasferita in 14 anni, pari cioè a 42 milioni l’anno, quando il Piano di prevenzione dell’Emilia-Romagna è di 2 miliardi di euro! Musumeci non sa che la nostra Regione è tenuta a rendicontare ogni anno al Governo (al Mase, non al suo ministero) gli interventi e che l’Emilia-Romgna è tra le regioni più performanti nella capacità di spesa (85%, dove il rimanente fa appunto parte delle opere in corso di realizzazione o di rendicontazione). E’ drammatico che un ministro non sappia queste cose – d’altro canto, ora che conosce i numeri dell’Emilia-Romagna, qualcuno potrebbe chiedergli quelli della Sicilia negli anni in cui lui era presidente… – ed è drammatico che ogni anno in Italia si spenda 10 volte di più per riparare che per prevenire.
La ricostruzione privata
Come noto, all’indomani dell’alluvione, il Governo si impegnò a riconoscere il 100% degli indennizzi per i danni subiti da famiglie e imprese. E fin dal primo incontro a Palazzo Chigi, Regione, Enti locali e rappresentanze economiche e sociali chiesero al Governo di procedere attraverso lo strumento del credito d’imposta con le banche, sperimentato per la prima volta in Emilia-Romagna dopo il sisma del 2012 e poi utilizzato nell’Italia centrale.
Il primo problema registrato è stato quello del riconoscimento dei beni mobili per le famiglie. Come noto, la legge non lo ha consentito fino all’estate del 2024: c’ stata battaglia politica per un anno e alla fine il Governo ha ceduto, prevedendolo però con un tetto massimo di 6.000 euro ad abitazione (una cifra risibile). L’effetto più evidente di questo reiterato rifiuto e poi di questa misura insufficiente è che molte famiglie hanno semplicemente rinunciato a chiedere i rimborsi, sfiancate dall’attesa e dalle promesse non mantenute.
Il secondo problema è stato quello delle procedure. Il credito d’imposta è stato concesso solo dopo 7 mesi di battaglia, con la legge di bilancio del 2024. Poi si sono persi altri 8 mesi per attivarlo. Morale: il Commissario, attraverso apposite ordinanze, ha dovuto impiantare un meccanismo diverso per il riconoscimento dei danni ai privati, con lo strumento degli anticipi che adesso va “conciliato” e raccordato con quello del credito d’imposta. I risultati di questo percorso barocco e di questi strumenti complessi ci consegna, a quasi un anno e mezzo dall’alluvione, un bilancio sconfortante sul fronte degli indennizzi: 2.500 domande completate, per un importo complessivo pari a poco più di 170 milioni di euro di richieste, di cui erogati solo 12 milioni. Tutto questo a fronte di un danno complessivo ai privati stimato in quasi 4 miliardi di euro!
Bisogna riconoscere che il Governo un effetto l’ha ottenuto: costringere tantissime famiglie e imprese ad arrangiarsi, scoraggiandole via via a chiedere quanto dovuto.
Non è un caso che ad oggi, a quasi un anno e mezzo dall’alluvione, la stragrande maggioranza delle famiglie alluvionate ha ricevuto come unico contributo quello assegnato in via speditiva da Bonaccini, in accordo con la Protezione civile, di 5 mila euro. Lo stesso vale per le imprese: grazie alle somme messe a disposizione dalle Camere di commercio, incrementate dalla Regione con una parte delle risorse delle erogazioni liberali raccolte durante l’emergenza, hanno potuto ricevere un minimo di sostegno. Ma si tratta ovviamente di poca cosa, a fronte del niente erogato ad oggi dal Governo.
(m.z.)